Saviano, la Colombia non è Casal di Principe

Farcdi Aldo Garzia

Con la consueta verve polemica, Roberto Saviano prende a pugni il recente accordo di pace tra governo colombiano e guerriglia delle Farc, peraltro affossato dai colombiani con solo il 37% di partecipanti al voto e la maggioranza di “no” allo specifico referendum. Invece che indagare su questo risultato a sorpresa, lo scrittore (sulla Repubblica dell’8 ottobre) dice la sua sulle Farc (hanno fatto finta di fare una guerriglia comunista, in verità erano solo narcotrafficanti), sul perché la trattativa sia stata condotta a Cuba (l’Avana sarebbe la capitale occulta del commercio di droga verso gli Stati Uniti), sulla politica di Washington che avrebbe stretto d’assedio – soprattutto dalla presidenza di Bush junior in poi – il traffico di stupefacenti. Il sostegno di Saviano alla possibile pace è di conseguenza a dir poco molto tiepido.

L’avvio dello scontro armato in Colombia è datato 1948, dopo l’assassinio di Jorge Eliécer Gaitán, candidato progressista alla presidenza. È in quel passaggio che le Farc muovono i primi passi. In tutti questi decenni non è stato possibile sconfiggere la guerriglia, nonostante le stragi e la terribile repressione. Chiedersi come mai sarebbe utile: forse qualche consenso lo aveva. L’autore di Gomorra dimentica un altro passaggio clou. Alla fine degli anni novanta l’Unión Patriótica tentò la soluzione politica del conflitto: i suoi esponenti furono eliminati fisicamente (Bernardo Jaramillo, candidato alla presidenza, fu ucciso nell’aeroporto di Bogotà). L’ex presidente Alvaro Uribe, attualmente capofila del “no” alla pace e probabile vincitore delle prossime elezioni, si caratterizzò per la spietata repressione e per la chiusura di ogni spiraglio di negoziato.

Spolverare la memoria non vuol dire che le Farc siano senza macchia, anzi: episodi neri di guerra ci sono stati da una parte e dall’altra. E non c’è dubbio che le Farc abbiano fatto del traffico di droga la fonte dei propri finanziamenti e abbiano usato in modo spietato i sequestri di persona (ciò spiega tra l’altro il “no” del voto delle campagne a differenza di quello delle città). Quando si aprono negoziati di disarmo e di pace, occorre sapere che va messa una metaforica pietra sul passato da ambedue le parti: gli esempi di Sudafrica e Irlanda fanno testo. Lo scrittore afferma poi di non credere alla buona volontà delle Farc (“possono avvelenare il dibattito democratico”) e preferisce non esprimersi su quella della controparte: la pace si sottoscrive in due (il recente Premio Nobel al presidente colombiano Juan Manuel Santos è un incoraggiamento).

Quanto alle trattative iniziate quattro anni fa, Saviano dimentica i ruoli di garanzia svolti con Cuba da Ban Ki-moon (segretario dell’Onu), Norvegia, Cile, Venezuela. Il suo obiettivo è scagliarsi contro l’Avana, la cui mediazione è stata invece auspicata e ringraziata da papa Bergoglio e dalla diplomazia vaticana. Nella foga di attaccare Cuba, Saviano dimentica di citare a favore della sua tesi un controverso episodio del 1989: il processo e la fucilazione del generale Arnaldo Ochoa accusato con alcuni collaboratori di trafficare con la droga in Angola e in America Latina. Dopo quella vicenda, però, Cuba ha sottoscritto molti accordi di cooperazione nella lotta alla droga con gli Stati Uniti. E va ricordato che sempre nel 1989 caddero nel vuoto i tentativi di provare che l’Avana avesse collaborato negli affari latino americani di droga con Manuel Noriega, il dittatore di Panama. Quale sia la documentazione di supporto alle tesi di Saviano non è dato sapere, oltre al suo libro ZeroZeroZero del 2013.

Insomma, questa volta si ha proprio l’impressione che Saviano abbia fatto flop nella sua polemica. Colombia e America Latina sono un po’ diverse da Casal di Principe e dalla Campania.

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