La questione israeliana

Numero 11-12 novembre-dicembre 2015 Prezzo € 20.00

La questione israelianaL’elemento comune di questo numero è il presupposto o la tesi che, appassita e in parte uscita dal proscenio la «questione palestinese» a cui «Il Ponte» dedicò un numero speciale nel 2002, il conflitto che ha tormentato il Medio Oriente dalla fine della Seconda guerra mondiale se non addirittura dal disfacimento dell’Impero Ottomano sia ormai meglio configurabile come «questione israeliana».

I problemi più critici dell’area che si identifica con la Mezzaluna fertile possono essere ricondotti a come lo Stato ebraico, di fronte all’offensiva dell’islamismo radicale e mentre infuria la guerra tra sunniti e sciiti, sullo sfondo di un più generale sconvolgimento della statualità e delle alleanze tradizionali, si ricolloca per conciliare la propria esistenza con la sua inclusione nel Medio Oriente. Forse Sadat – in occasione del viaggio in Israele e del discorso alla Knesset del 1977 – considerava quella inclusione un obiettivo inevitabile o quanto meno funzionale a molti degli interessi in campo, anche nel mondo arabo. Di fatto, però, il processo che si è aperto con la rottura del 1947 non ha mai trovato il modo di ricomporsi, neppure con gli accordi di Oslo. Molti degli articoli ruotano proprio attorno alle anomalie di un ordine regionale senza più vere egemonie, ma anche senza una trama orizzontale accettata e praticata da tutti.

Anche l’alleanza spuria tra Israele e Arabia Saudita è da intendere come un passaggio tattico in attesa che la stessa Arabia Saudita trovi un modus vivendi nelle trasformazioni in corso. La dinastia wahabita dà l’impressione di avere solo un’agenda auto-difensiva e a breve termine, si tratti del suo doppio gioco con il jihadismo o dell’opposizione pregiudiziale alla Fratellanza musulmana, tanto più ostica quanto più i Fratelli scelgano la “via democratico-parlamentare”, che d’altra parte le forze esterne di parte occidentale credono o pretendono sia un’uscita virtuosa e obbligata dalla crisi. Non si sa fin dove Israele possa sfruttare l’avversione per l’Iran, destinato verosimilmente a rientrare nel gioco internazionale dopo l’accordo sul nucleare, come un fattore strategico di lungo periodo che lo esenti da forme di interazione in positivo con le forze emergenti, quale che sarà l’esito del rivolgimento geopolitico.

Al contempo, questo numero presenta una forte e voluta pluralità di approcci, interpretazioni e persino adesioni emotive. Tutti gli autori danno un loro contributo personale, ragionato e onesto. Ci aspettiamo che tutto ciò sbocchi in una presentazione della «questione israeliana» composita e a più facce, come del resto essa viene percepita e vissuta dai curatori.

Nei vari articoli, parole fatidiche come Olocausto, Israele o sionismo, Palestina vengono impiegate senza che necessariamente tutti le intendano allo stesso modo e senza impegnare il significato complessivo del numero. Ciascun autore è responsabile di come le usa e le intende. Esula in effetti dagli scopi del fascicolo una esegesi filologica di termini che si prestano a diverse versioni e letture. Giorgio Agamben ritiene addirittura «sacrilego» parlare di Olocausto per qualificare la «soluzione finale» della questione ebraica messa in atto dal Terzo Reich perché letteralmente evoca l’altare dei sacrifici, ovviamente incompatibile con gli orrori dei campi di sterminio. Sulla realtà dello Stato ebraico (esistenza, natura istituzionale, confini, ecc.) esiste, come è noto, una disputa in parte ideologica e in parte politico-operativa che è tutt’altro che finita, visto che i governi israeliani di destra da Begin a Netanyahu si richiamano in qualche modo al “revisionismo” di Jabotinsky avversato dai fondatori nel 1948. Per quante virgolette o altre attenuazioni si adoperino, l’espressione Palestina è in sé una specie di metafora di una realtà che a livelli strettamente politici è molto difficile da definire. Il paradosso diplomatico è l’ammissione dello Stato di Palestina all’Onu come non membro.

I curatori sono sicuri che – più dei sofismi, anche molto motivati – conti la parte di verità insita nel contributo degli autori, a prescindere dalle posizioni e dagli schieramenti di appartenenza e persino dagli auspici che essi qua e là fanno balenare. Se tale premessa è stata veramente adempiuta, questa analisi della «questione israeliana» potrà risultare un contributo utile a sfatare miti, pregiudizi o false certezze.

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