Guerre à gogo

Numero 3 marzo 2003 Prezzo € 16.00

Guerre«In quanto modello, l’Unione Sovietica è inammissibile […]. Detto ciò, se l’Unione Sovietica non esistesse, gli americani sarebbero i padroni del mondo. È meglio che ci sia questa rivalità, piuttosto che una potenza regnante, perché nella rivalità c’è almeno una qualche apertura, mentre con un’unica potenza dominante, per fare qualcosa di nuovo occorre aspettare il suo declino, il suo deperimento». Chi parla è Henri Lefebvre che nel dicembre 1983 rilasciava un’intervista al «Ponte». Ho riportato in apertura questo pensiero lefebvriano perché questo nostro “speciale” gira fondamentalmente intorno all’idea che gli americani sono, o tentano di essere, i padroni del mondo. E questa non è una nostra impressione. Si legga il documento che espone la cosiddetta dottrina Bush (The National Security Strategy oh the Ynited States) e che è stato il punto di riferimento di Antonio Gambino per il suo libro Perché non possiamo non dirci antiamericani: ogni dubbio sarà fugato. Che l’operazione riesca loro è altro discorso, e gli anni a venire daranno le dovute risposte. Oggi dobbiamo prendere atto di questo stato di cose e su di esso fondare le nostre analisi del presente e del futuro.

In quest’ottica la guerra all’Iraq di Saddam Hussein non è un evento particolare che tende a ristabilire un ordine preesistente, è un quid novi che propone un nuovo ordine, la pax americana. A dimostrazione di questa tesi, in questo numero abbiamo voluto preporre alla trattazione della guerra e del dopoguerra una serie corposa di articoli sulle mire statunitensi riguardo al nuovo ordine mondiale e che mostrano come Saddam Hussein sia stato solo il pretesto per innescare la miccia delle operazioni. Un po’ come il lupo e l’agnello di esopiana memoria. Con questo non vogliamo dire, ovviamente, che Saddam sia stato l’agnello, ma che qualunque cosa avesse fatto, non sarebbe bastata a evitare l’invasione anglo-americana. Le fantomatiche armi batteriologiche, gli altrettanto fantomatici aiuti ai terroristi di al Qaeda, la dittatura con la conseguente oppressione e repressione del popolo curdo e sciita, erano solo il casus belli e poco importa se agli occhi della diplomazia internazionale sono sempre apparsi poco credibili o addirittura inconsistenti (vedi le recenti dichiarazioni di Blix): ciò che conta è far capire a tutti chi comanda nel mondo: o si è con gli americani o contro. Da qui il problema Onu, il problema Nato, il problema Francia-Germania-Belgio o, come dicono alla Casa Bianca, il problema “vecchia” Europa.

Che poi ci sia un’opinione pubblica mondiale che non ha accettato la guerra, è questione secondaria: quando mai l’opinione pubblica è entrata in gioco nelle decisioni che contano? E anche il papa cosa pretende? Come diceva Stalin, quante divisioni ha?

Il discorso ha una sua verità: l’opinione pubblica mondiale, per quanto contraria alla guerra, non è riuscita a impedirla. Attenzione però: a lungo andare il consenso nazionale e internazionale è indispensabile all’America per mantenere una leadership democratica. La Germania nazista aveva dalla sua la preponderanza militare, ma alla fine crollò anche perché trovò nei paesi occupati un’ostilità generalizzata. Torna il vecchio adagio secondo cui sulle baionette si sta male a sedere. Ma Bush non sembra darsi pensiero sul dove si siederà. Ciò che gli interessa è che l’Europa, vecchia e nuova, si “affidi” a lui che, eletto con meno di un quarto dell’elettorato, è la migliore espressione della grande democrazia americana.

Ma vogliamo insistere su queste quisquilie? Gli Usa sono la democrazia per antonomasia e questo lo sa bene non solo il nostro presidente del Consiglio che, se non fosse stato frenato dall’opinione pubblica, si sarebbe unito senza indugi a Bush, impegnando le nostre truppe in Iraq in barba alla Costituzione, ma anche l’opposizione che a ogni pie’ sospinto sente il bisogno di dichiararsi non antiamericana. Il che è una pura banalità se si intende dire che non è contro il popolo americano (come si può essere contro un popolo?), ma è affermazione grave e pesante, segno di resa all’esistente, se si vuol dire che non si è contro l’americanismo aggressivo che sconvolge oggi gli equilibri mondiali.

Noi del «Ponte» siamo contro quel tipo di americanismo, contro, cioè, l’individualismo avanti tutto in politica e in economia, contro la ragione del piú forte, contro gli imperi presunti o reali, contro la democrazia puramente formale dove ingrassano le lobbies, contro la frenesia consumistica, contro l’idiotismo di chi non vede oltre il proprio naso. Il socialismo, oggi come ieri, è il nostro ideale, un socialismo che vada, oltre la democrazia formale, verso una realtà sociale in cui tutti abbiano la possibilità di giudicare il comportamento dei governanti, perché la società ha dato loro la formazione e l’informazione occorrenti; un socialismo che realizza finalmente i diritti sociali enunciati nella nostra Costituzione, e in particolare nell’articolo 3; un socialismo che non si accontenta della semplice gestione del potere, che non si identifica con le istituzioni, ma opera per trasformarle; un socialismo che ci riporta alla nostra tradizione che annovera intellettuali quali Salvemini, Rosselli, Rossi, Capitini, Calogero, Calamandrei ed Enriques Agnoletti.
Marcello Rossi

Scritti di Luca Baldissara, Luciano Barca, Roberto Barzanti, Franco Battistrada, Giacomo Becattini, Piero Bellini, Patrizia Bernardini, Giampaolo Calchi Novati, Noam Chomsky, Luigi Cortesi, Daniele Dominici, Giuliano Garavini, Rino Genovese, Cristina Giannardi, Ferdinando Imposimato, Gabriel Kolko, Vincenzo Lavenia, Mario Mele, Mario Monforte, Renato Nisticò, Roberto Passini, Tiziano Raffaelli, Marcello Rossi, Alessandro Roveri, Giovanni Ruocco, Francesco Scarabicchi, Giancarlo Scarpari, Jonathan Schell, Paolo Sylos Labini, Antonio Tricomi.

 «Questo e altro»: scritti di Antonio Castronuovo, Gianluca Corrado, Carlo A. Madrignani, Ariodante Marianni, Gianni Poli, Vito Zagarrio.

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