Letteratura &

Numero 7 luglio-agosto 2008 Prezzo € 15.00

LetteraturaA cura di Carlo Bordoni

Quando la direzione del «Ponte» mi ha chiesto di dar corso a un numero speciale sulla letteratura, ho pensato a un equivoco. Il fatto di essermi occupato in passato di sociologia della letteratura non mi qualificava, di per sé, come esperto di letteratura, né tantomeno come critico militante. Ma la direzione del «Ponte» non voleva un fascicolo per addetti ai lavori, redatto in rigoroso linguaggio specialistico, bensí una cosa piú agile, aperta e, soprattutto, non accademica. Il che suonava alle mie orecchie come un invito allettante a mettere insieme contributi diversi fra loro, persino insoliti o almeno imprevedibili. Ma soprattutto godibili, come può esserlo un discorso a piú voci che rompe con la tradizione consolidata dei rendiconti paludati dal piglio autorevole. Lo scopo era dunque segretamente ambizioso: fare il punto sulla condizione attuale della letteratura oggi, di fronte all’imperversare di nuove forme di comunicazione in cui la scrittura è ridotta a un ruolo ancillare e, poi, avvicinare ai temi letterari persone (in particolare i piú giovani) che si potrebbero dimostrare potenziali lettori. Anche lettori di ritorno. Perché persino alla lettura (e alla letteratura) si può ritornare, stanchi delle sollecitazioni televisive. La grande scommessa sta proprio nel tentare questa operazione attraverso una rivista politica come «Il Ponte», che ha sempre dimostrato un’attenzione non occasionale per i problemi e per le tematiche culturali e che si presenta in libreria con una veste sobria, priva di quell’apparato iconografico che di solito accompagna i prodotti destinati ad attrarre un pubblico sempre piú distratto.

Perché questa operazione fosse possibile era necessario chiedere la collaborazione di persone diverse, non necessariamente specialisti di letteratura: durante la fase preparatoria ho anzi scoperto che proprio gli specialisti in letteratura cercano di non affrontare il compito di una valutazione sintetica della loro disciplina. La considerano un terreno minato su cui è sconsigliabile avventurarsi. Temono di sbilanciarsi in prese di posizione definitive, da cui poi è difficile prendere le distanze. La considerano un’operazione rischiosa che non è (mai) il momento di tentare. Un esempio per tutti: sarebbe stato interessante sapere da Alberto Asor Rosa che ne pensa, adesso, della letteratura a quasi mezzo secolo di distanza da Letteratura e popolo (Samonà & Savelli, 1965), ma temo che difficilmente avremo una risposta diretta, a causa delle riserve che un’operazione del genere comporta. Meglio non dire.

E allora la parola a tutti: filosofi, giornalisti, critici, sociologi, intellettuali, linguisti, storici, politologi… Perché la letteratura appartiene a tutti, è un patrimonio comune su cui vale la pena di riflettere, in un tempo in cui le riflessioni non sono di moda. Se non ora, quando? L’occasione è ghiotta e si presta magnificamente a essere colta e sfruttata appieno: siamo all’inizio di un nuovo secolo, in una condizione d’incertezza che, come sempre, accompagna un mutamento epocale. Ci troviamo, letterariamente parlando, come è stato annunciato acutamente da Alfonso Berardinelli (Casi critici. Dal postmoderno alla mutazione, Macerata, Quodlibet, 2007), oltre il postmodernismo, già bello e finito ancora prima che la gente comune si rendesse conto del suo significato, che avesse capito davvero in cosa consistesse.

Bene o male, la nostra cultura sta attraversando una complessa fase di demassificazione che sta trasformando la società di massa (quella delle grandi concentrazioni, dei comportamenti standardizzati, dei consumi omologati dalla pubblicità, delle televisioni) in qualcosa di diverso che ancora non riusciamo a intuire. L’apocalisse del nostro futuro è sospesa tra il ritorno dell’individualismo e l’emergenza incontenibile delle nuove moltitudini, sulle quali si appuntano le utopie rivoluzionarie di filosofi engagés, tra cui Antonio Negri (Moltitudine, con M. Hardt, Milano, Rizzoli, 2004).

La sociologia del nostro tempo, nel pensiero di Zygmunt Bauman (Modus vivendi, Bari, Laterza, 2007), uno degli esempi piú autorevoli tra le tante voci che si levano a denunciare le minacce incombenti, dipinge una società priva di valori, di punti fermi e per questo “liquida”, che corre sempre piú velocemente verso la globalizzazione. Emergenze politiche, economiche, sociali, religiose, ecologiche ci assillano, peggiorate dal crollo delle ideologie, preconizzate già da Jean-François Lyotard alla fine degli anni settanta (La condizione postmoderna, Milano, Feltrinelli, 1981), esasperati dall’assenza di certezze, di teorizzazioni adeguate, di metodologie, di ricette, di scelte, di speranze.

E allora perché la letteratura? Non rischia di dimostrarsi una modalità di fuga dal presente? Una futile evasione dai problemi reali che ci attanagliano? Un modo per nasconderli temporaneamente, allontanandoli dalla nostra coscienza inquieta? C’è chi lo pensa, ne sono sicuro. Ma dimentica che la cultura (di cui la letteratura fa parte, assieme alle arti, e a ogni altro aspetto della manifestazione del pensiero e della creatività umana) siamo noi. È il nostro modo di essere, la fotografia del nostro mondo, e che è inscindibile dal tutto. Che conoscere la nostra cultura è una modalità privilegiata di conoscere il tempo in cui viviamo, di comprendere la realtà in cui siamo immersi. E forse anche di contribuire a risolvere alcuni dei problemi che ci affliggono.

Cosí l’immagine della letteratura che esce da questo numero monografico è assolutamente inedita e imprevedibile: coniuga le lettere alla gastronomia, alla salute, all’immaginario che appaiono piú legati ai problemi del quotidiano ma che, come il lettore noterà, toccano i grandi sistemi e hanno implicazioni di natura filosofica.

La condizione non accademica spinge ad affrontare anche i temi piú seriosi (come quello della linguistica, nell’intervento di Dardano) in forma piacevole, riuscendo lo stesso a mettere l’indice su aspetti determinanti. In complesso la fotografia della letteratura d’oggi che si viene delineando sotto i nostri occhi è curiosamente complessa e variegata, riuscendo a formulare ipotesi d’interpretazione non banali che vanno dalla morte del romanzo, piú volte annunciata e sempre rinviata, alla fortuna dei generi, alla globalizzazione e al postcolonialismo. La difformità dei toni e dei temi lascia presagire una vitalità straordinaria ben lontana da quella marginalità che si era temuta.

Carlo Bordoni

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