Cesare Luporini 1909-1993

Numero 11 novembre 2009 Prezzo € 10.00

 Cesare LuporiniApprezzo molto l’idea de «Il Ponte» di dedicare un numero monografico della prestigiosa rivista a Cesare Luporini nel centenario della sua nascita. Pur non essendo toscano d’origine, Luporini lo è stato certamente per elezione, piú che per adozione. Voglio dire che – insegnando prima a Pisa e poi a Firenze – ha sentito forte il legame con la regione (e le città) nella quale ha vissuto buona parte della propria vita.
È doveroso ricordarlo. Di piú: ricordarlo ci aiuta a ripensare il nostro passato e a tenerlo d’insegnamento per il presente, facendo tesoro proprio della grande produzione intellettuale del filosofo e del militante e dirigente del Partito comunista.

È qui che voglio e posso ricordare Cesare Luporini. Ha avuto una formazione filosofica molto vicina all’esistenzialismo, ma è stato un grande interprete del pensiero marxista e gramsciano. Con ciò si è distinto come il classico esempio dell’intellettuale organico e in questa sua veste di studioso, di ricercatore, di insegnante rigoroso ha fatto per molti anni politica, ricoprendo incarichi negli organismi dirigenti locali e nazionali del Partito comunista italiano per il quale fu anche senatore fra il 1958 e il 1963, nel corso della terza legislatura.

Quando Occhetto annunciò, il 12 novembre 1989, la svolta della Bolognina, che portò allo scioglimento del Partito comunista italiano il 3 febbraio 1991, Luporini si dichiarò contrario e fu tra gli animatori di quella grande manifestazione che si tenne a Roma al Teatro Eliseo il 22 gennaio del ’90. Era il luogo dove anni prima Enrico Berlinguer aveva chiamato a raccolta gli intellettuali italiani perché portassero il loro contributo alla linea dell’austerità che il leader del Pci aveva proposto nel 1977, in un difficilissimo momento a cavallo fra il «compromesso storico» e la denuncia della questione morale.
Gli organizzatori della manifestazione del “no” alla svolta, sentendosi minoranza, pensarono che il ridotto dell’Eliseo potesse bastare loro, ma dovettero all’ultimo momento spostarsi nel teatro vero e proprio per ospitare i 1.200 che si presentarono all’appuntamento. Certo, furono anni di grandi lacerazioni quelli, e tutti noi che li abbiamo vissuti, da una parte o dall’altra della barricata, li ricordiamo con le sincere passioni e convinzioni che ci hanno contraddistinto e guidato, ma anche con l’amarezza di aver visto allontanarsi amici e compagni con i quali avevamo condiviso tanto e tanto della nostra vita.
Anche per questo credo che l’Ulivo prima e il Pd poi, col tentativo di riunificare anime diverse ma solidali e di perseguire unità piú ampie, siano felici progetti che hanno bisogno di giungere quanto prima a pieno compimento.

Ed è qui che mi preme ricordare qualcosa di quel che fece Luporini all’epoca. Si batté con fervore e decisione nel sostenere le sue ragioni contro lo scioglimento del Partito comunista. Corrado Stajano, sul «Corriere della sera» del 2 marzo 1990, scrisse un articolo intitolato I delegati a lezione dal filosofo dopo aver seguito il Congresso della federazione fiorentina del Pci. «Ha compiuto ottant’anni nell’89, Cesare Luporini – scriveva Stajano – ma sembra molto piú giovane. Professore di filosofia morale all’Università di Firenze, maestro di generazioni di studenti, autore di saggi importanti sul pensiero di Kant, di Engels e soprattutto di Marx, è stato sempre una stella polare del partito. Da tre mesi, il professore, che fa parte del Comitato centrale, va in giro a parlare nelle sezioni, dirompente, sarcastico. Stasera è quasi mezzanotte quando comincia il suo discorso ed enumera le ragioni del suo dissenso: la questione internazionale, il modo di concepire le alleanze, le motivazioni della svolta, la trascurata questione sociale».
Piú avanti Stajano ricordava: «Cesare Luporini è sempre stato un singolare impasto di ortodossia e di capacità di annusare il nuovo. La sua introduzione ai saggi di Althusser, Per Marx, piena di simpatia intellettuale, influenzò molto i giovani agli albori del ’68 e cosí la sua lettura di Leopardi progressivo e, all’indietro, le sue radici e i suoi studi sull’esistenzialismo. Ma Luporini è anche l’intellettuale organico di quasi mezzo secolo di storia comunista, il fedele e intransigente uomo di Togliatti».
Una descrizione perfetta, esatta, rispondente all’immagine che ognuno di noi si era fatto vedendolo alle riunioni o seguendolo all’università.
Questa sua – mi sia consentito – “doppia anima”, accompagnata dal rigore del suo pensiero e dall’intransigenza verso se stesso e verso gli altri, lo portò all’indomani del Congresso di Rimini, a difendere Occhetto. Scrisse su «La Stampa» il 6 febbraio 1991 un amareggiato articolo in cui affermava di non gioire affatto della non elezione di Occhetto a segretario: «D’altra parte – scriveva –, qualcuno ha vinto: ha vinto la logica. Una volta entrati in quella del partito leaderistico (che a me non piace affatto), non si affida tanta responsabilità a un organismo cosí ambiguo e pletorico come quel Consiglio nazionale. A questo punto, anche considerata la serietà della situazione generale, mi auguro che il pasticcio venga rimediato al piú presto con la conferma di Occhetto a segretario. E ciò nell’interesse della formazione, minoranza compresa, in cui mi trovo a militare. Occhetto ha inventato questa nuova forma e linea politica: deve essere lui a gestirla. Dunque non ho gioito. Si ha pudore dei propri sentimenti, ma sperimentiamo tempi cosí speciali che credo sarebbe un bene di tutti riuscire a comunicarseli vicendevolmente. Sono dominato da un senso di angoscia, anzi da un senso dell’orrore, per quel che sta accadendo con questa guerra [la prima Guerra del Golfo, ndr] e che può accadere in seguito. […] Soprattutto mi rattrista che esso colpisca tanti giovani, come una nube nera che oscura loro il futuro, sogni e speranze. E addirittura colpisce, come si è visto in televisione, perfino i bambini, bloccandone e deviandone la libera immaginazione, la piú grande gioia dell’infanzia, quando questa possa svolgersi in condizioni normali o accettabili».

L’intero articolo merita di essere riletto per comprendere l’uomo e, lo ripeto, le vicende che abbiamo passato. Sottolineo solo l’onestà del militante e dello studioso, la sua infaticabile voglia di combattere. Che oggi davvero ci manca.
Recentemente a una manifestazione del Pd a Milano ho ricordato di aver sostenuto, nel momento in cui si discuteva su quale dovesse essere il modello di partito a cui il Pd dovesse rifarsi – liquido, solido, strutturato, aperto –, che per me doveva e deve essere “colto”. Non un partito d’élite o snobistico, tanto meno un salotto per quanto acculturato – la terrazza di Scola, per intendersi –, ma un organismo in cui le singole persone abbiano una solida preparazione politico-culturale, che conoscano con competenza ciò di cui si occupano e che all’occorrenza tornino a studiare per poter vincere le loro battaglie.
Se Luporini fosse ancora fra noi oggi, per quanto dissenziente o «diviso nell’anima», credo ci sarebbe di grande aiuto in un tale progetto. Per il bene di tutti.
CLAUDIO MARTINI

Scritti di: Bruno Accarino, Roberto Barzanti, Franz Brunetti, Biagio De Giovanni, Luca Fonnesu, Sergio Landucci, Antonio La Penna, Sergio Filippo Magni, Amedeo Marinotti, Giorgio Mele, Maria Moneti, Mario Monforte, Stefano Poggi, Daniele Pugliese, Roberto Torzini, Mario Tronti, Aldo Zanardo.

Non è possibile lasciare nuovi commenti.