Ferdinando Imposimato

Le ragioni di un no[Le nostre ragioni di un no. Altri interventi di Paolo Bagnoli, Luca Baiada, Francesco Biagi, Lanfranco Binni, Gian Paolo Calchi Novati, Rino GenoveseMassimo Jasonni, Mario Monforte, Tomaso Montanari, Mario Pezzella, Pier Paolo Poggio, Marcello Rossi, Giancarlo Scarpari, Salvatore Settis, Angelo Tonnellato, Valeria Turra]

Sono nettamente contrario alla riforma, che è una minaccia grave alla nostra debole democrazia in quanto attribuisce enormi poteri al premier. Aristotele diceva: «mai dare troppi poteri a chi governa. È portato ad abusarne». Cosa che è già accaduta, pur con i poteri limitati concessi dalla Costituzione. Il governo nega questa svolta e sostiene che la riforma giova anzitutto al risparmio che, con il taglio dei senatori, sarà di 500 milioni. Falso: aumentano i privilegi economici dei burocrati di Camera e Senato. A fronte dei 57 milioni risparmiati con i 100 senatori, la spesa crescerà per stipendi di Camera e Senato introdotti dall’art. 40 della riforma. Si tratta di una norma posta in un angolo in fondo al testo. Sostiene Giampiero Buonamo, funzionario del Senato, che si parte dichiarando che la riforma vuole ridurre i costi della politica, e poi si fa il contrario. Mentre diminuiscono gli stipendi di insegnanti (da 30.338 euro a 29.130) e di corpi polizia (da 38.493 euro a 37.930), gli stipendi degli impiegati della Camera si moltiplicano (un consigliere da 64.000 euro a 240.000). Privilegi che si blindano con l’art. 40.

Il governo non riduce i 23 miliardi di euro per le migliaia di enti privati, fonte di corruzione e di distribuzione clientelare di posti ad amici e parenti, mentre i meritevoli sono esclusi dai concorsi. Inoltre invoca anche l’esigenza della governabilità.

In realtà il premier abusa del potere con leggi ingiuste. La legge sul Jobs act, approvata con voto di fiducia, umilia il lavoro trattandolo alla stregua di una merce. Il lavoro è la risorsa più grande del nostro popolo. Compito della Repubblica è non solo rendere effettivo questo diritto ma fare in modo che ogni lavoratore abbia una retribuzione che lo liberi dal bisogno e gli consenta di dedicarsi al proprio miglioramento spirituale per esercitare in modo cosciente i diritti politici.

La riforma consente inoltre al datore di lavoro libertà di licenziamento. L’occupazione è inferiore a quella che si ebbe nel peggiore anno di crisi. I 14 miliardi di incentivi pubblici alle imprese si sono risolti in un trasferimento di ricchezza al capitale, a danno del lavoro in generale e delle piccole e medie imprese in particolare. Questa riforma purtroppo ha portato alla legalizzazione del caporalato, che è sfruttamento del lavoro nero.

Altro mostro partorito dal governo è la legge sulla buona scuola, legge ingiusta e illegittima. Il governo destina all’istruzione le risorse più basse d’Europa e trasforma la scuola in azienda. La scuola è «organo costituzionale come parlamento, governo e magistratura, anzi ancora più importante poiché l’insegnante ha un compito più difficile: istruire e formare i giovani» (P. Calamandrei, Atti cost., rel. Moro, ott. 1946).

La corruzione ha fatto aumentare in Italia il costo delle grandi opere pubbliche, prive di utilità sociale. Nulla è destinato alle opere antisisma, sicché l’Italia è in preda ai dissesti idrogeologici.

La legge salva-banche tende a salvare le banche truffatrici e non i risparmiatori truffati. Negli Usa Obama ha citato le banche truffatrici, chiedendo un risarcimento danni per i risparmiatori. Da noi sono mancate leggi, a tutela di legalità ed eguaglianza, contro la corruzione che costa 70 miliardi di euro l’anno, mentre la prescrizione favorisce l’impunità. Carente è la lotta all’evasione fiscale che costa agli italiani 154 miliardi di euro l’anno, mentre il fisco potrebbe recuperare una somma pari a 100 miliardi di euro all’anno.

Non si possono dare maggiori poteri al presidente del Consiglio se non si risolve il bubbone del conflitto di interessi che invade ogni attività pubblica e ha portato l’informazione nelle mani del premier, mentre occorreva garantire il pluralismo (ex art. 21).

La riforma del Senato tende ad asservire i giudici ordinari amministrativi e contabili al premier. D’altronde sempre, chi governa, cerca di sottomettere i giudici al proprio potere. Così la maggioranza, controllando la Camera dei deputati grazie all’Italicum, sceglierà da sola i membri della Corte costituzionale. La Consulta, da giudice delle leggi che ha annullato tante leggi illegittime, diventerà organo della maggioranza e del premier. Il Csm, da organo di garanzia dei magistrati, diventerà ramo della maggioranza e sceglierà i vertici di procure, tribunali e cassazione, vertici che non saranno imparziali ma subalterni alla maggioranza. La legge che proroga il presidente della Cassazione è un indizio delle mire del governo sui giudici.

Il numero dei senatori è proporzionale alla popolazione (art. 57). A ogni regione sono assegnati almeno due senatori. Le province di Trento e di Bolzano ne avranno ciascuna due. I senatori di Trento e Bolzano si aggiungono a quelli del Trentino-Alto Adige. Altre province non avranno senatori. Altra assurdità: la Lombardia con oltre 10 milioni di abitanti supera gli abitanti di 9 regioni messe insieme: Calabria, 1.900.000; Sardegna, 1.663.000; Liguria, 1.583.000; Marche, 1.550.000; Umbria, 894.000; Basilicata, 576.000; Molise, 313.000; Val d’Aosta, 128.000; Trentino, 105.500. Le regioni piccole sono schiacciate dalle regioni grandi. Questo inciderà sulle riforme costituzionali che intaccano unità e indivisibilità dell’Italia (art. 4) e sulla distribuzione delle risorse.

L’immunità è garanzia prevista dai costituenti per gli eletti dal popolo per i voti espressi e le opinioni date nell’esercizio delle funzioni. Oggi sarebbe giusto mantenere solo l’insindacabilità delle opinioni espresse e dei voti dati nell’esercizio delle funzioni, e forse l’autorizzazione per l’arresto, che può incidere sugli equilibri politici dell’assemblea.

I riformatori hanno cambiato l’art. 78 per agevolare la dichiarazione di guerra da parte del premier, escludendo il Senato dal voto: ciò in vista delle nuove guerre che si preparano in Nord Africa e in Medio Oriente.

Tutto questo, e altro ancora che non cito per ragioni di spazio e di cui parleranno – ne sono sicuro – i collaboratori del Ponte, porta a un duro no a questa riforma liberticida.

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