Etica e franchismo

Savaterdi Mario Pezzella

Il filosofo etico Fernando Savater sembra aver riscoperto la bontà del franchismo (intervista al «Corriere della sera» del 22.09.17: «Madrid doveva mostrarsi più ferma. Un compromesso non è possibile»). Non solo approva le misure poliziesche decise da Madrid, ma le ritiene insufficienti. I catalani sono fondamentalisti che vantano un «inesistente diritto a decidere», «l’umiliazione dei secessionisti è un momento di pedagogia […] bisogna portarli in tribunale e in carcere». Savater conclude cupamente con una sorda minaccia: «Se c’è un atto di violenza, per qualcuno può finire male». Nel corso dell’articolo esprime inoltre un profondo fastidio perché i catalani (pensa un po’) si ostinano a parlare catalano nelle loro scuole. «Il governo è stato inerte», lamenta Savater: pensando forse che si dovrebbe mandare l’esercito, sparare agli studenti che cantano Bella ciao, affollare le carceri e i tribunali come ai tempi di Franco? Bisogna usare la mano dura come nei Paesi Baschi, pensa Savater (che è un basco pentito), trascurando il fatto che in Catalogna nessuno ha finora compiuto atti di violenza, e, se dovesse essercene qualcuno, la responsabilità ricadrebbe interamente sulla repressione ottusa praticata dal governo di Madrid. Ma visto che l’intervista è a un giornale italiano, Savater chiede solidarietà, e minaccia: guardate che la Catalogna potrebbe costituire un esempio per Veneto e Lombardia.

Ammettiamolo: la parola federalismo ha subito una rivoluzione passiva, è stata ripresa in senso regressivo ed esclusivo dalla Lega. In realtà nel suo significato originario, quello che gli davano Spinelli e Calamandrei, il federalismo era comprensibile solo come secondo polo necessario di una unità europea, che superasse l’egoismo distruttivo degli Stati-nazione. I quali sono nati quasi sempre in Europa da guerre civili e sopraffazione violenta: della Castiglia sulla Catalogna, della Francia del Nord sulla Provenza, dell’Inghilterra sulla Scozia, ecc., per tacere dell’ipocrisia che ancora circonda il moto centralista e autoritario con cui è stata fatta l’unità d’Italia. Gli Stati-nazione hanno concluso la loro poco gloriosa storia col colonialismo e due guerre mondiali. Cosa c’è da rimpiangere in tutto questo? Perché lo Stato-nazione sarebbe un ultimo ed estremo valore, e perché sarebbe impossibile metterlo in discussione, anche quando è divenuta evidente la sua inadeguatezza storica?

Il vero problema è l’Europa, che non è quella sognata da Calamandrei, ma un’entità sovranazionale unicamente finanziaria, autoritaria, in cui disuguaglianza sociale e atteggiamento neocoloniale verso i paesi più deboli costituiscono la sostanza di norme e trattati. Come “federalismo”, così anche “Unione europea”, è un termine che ha assunto un significato sempre più sinistro, in opposizione al suo senso iniziale. Riproporre tale senso presuppone però necessariamente la critica e la crisi dell’attuale sviluppo del capitalismo, e non è solo una questione di forme o formule politiche. Socialismo, Federazione, Unione europea, sono termini che si giustificano insieme, o insieme divengono puri simulacri della presente struttura di potere.

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