Re Draghi è nudo

Re Draghi è nudo

Dunque, i barbari non si sono del tutto civilizzati. È con queste, rammaricate, parole che l’eterno establishment della Città Eterna commenta in queste ore il colpo di coda di Conte e del Movimento5 Stelle. La scissione telecomandata di Di Maio non è bastata a disinnescare la mina: e il resto l’ha fatto l’intemperanza del Presidente del Consiglio. Non sapevano trovare le parole per dirlo, i grandi giornali genuflessi al doppio soglio chigiano e quirinalizio: ma si è capito che questa volta i due nonni della patria non sono in perfetto accordo, con Mattarella che prova a ricordare a Draghi che la fiducia l’ha avuta, e Draghi che non depone la stizza nemmeno quando il Capo dello Stato lo manda «a riflettere» (come si fa con i bambini della scuola materna). Draghi non è uomo abituato ad essere contraddetto, si è chiosato con la solita untuosa cortigianeria. E dunque ciò che davvero è imperdonabile, ciò che determina davvero la crisi di governo, è la lesa maestà: e, si sa, per il crimen maiestatis le teste dei rei devono rotolare senza indugio.

È proprio questa la nudità del re Draghi che gli incorreggibili grillini hanno svelato: e cioè la dimensione personale, personalistica, di questa leadership “che tutto il mondo ci invidia”. Questo significava, dunque, la famosa formula di «un Governo di alto profilo, che non debba identificarsi con alcuna formula politica» usata dal presidente Mattarella. L’assenza di formula politica significa che se una delle forze politiche che sono chiamate a dare la fiducia al governo (questo fastidioso rituale che re Draghi si degna di accettare purché sia un simbolico residuo di un passato in cui vigeva quella curiosa e sorpassata usanza che i libri di storia chiamano “democrazia”) si permette di condizionare quella fiducia a una specifica piattaforma politica che sottopone al Presidente del Consiglio attendendone una risposta, e se poi, in assenza di risposta, quella forza politica non partecipa al voto di fiducia, non volendo sfiduciare il governo ma nemmeno accordargli di nuovo la fiducia senza aver avuto risposte chiare e impegnative: ebbene, allora si compie il crimine di lesa maestà, e il monarca sdegnato spezza lo scettro e maledice i reprobi fino alla quarta generazione.

Lo scandalo è che il partito uscito dalle urne come quello di maggioranza relativa in Parlamento pretenda di influenzare la politica del governo che sostiene, perché – come ha scritto Conte nel documento consegnato a Draghi – «non ci sentiamo più di rinunciare a esprimere e a far valere le nostre posizioni, in nome di una generica “responsabilità”, che di fatto rischia di coincidere con un atteggiamento remissivo e ciecamente confidente rispetto a processi decisionali di cui, purtroppo, veniamo messi al corrente solo all’ultimo». E qui non rileva neppure che i punti di quel documento siano tutti (dalla difesa del reddito di cittadinanza al salario minimo, dall’avversione al riarmo al blocco dei licenziamenti, al contrasto al precariato) perfettamente legittimi (e anzi in linea, a dirla tutta, con i valori fondanti della Costituzione della Repubblica). Il punto, ancora più a monte, è che l’esistenza stessa di questo documento contesta di fatto una prassi di governo fuori da ogni fisiologia costituzionale, tutta affidata a un uomo solo e al suo staff, completamente fuori dal controllo delle forze politiche e del Parlamento. È questo l’imperdonabile peccato di hybris per cui il sommo sacerdote dell’oligarchia si è stracciato le vesti gridando alla bestemmia: e quella bestemmia si chiama democrazia parlamentare.

Se le cose stanno così, e cioè se il re accetta di rimettersi la corona solo a patto che il suo regno sia assoluto, il Movimento farebbe malissimo a rimangiarsi la pur timida voce con cui, dopo un anno e mezzo, ha finalmente sussurrato che quel re è nudo. E pazienza se questo dovesse comportare la caduta del governo Draghi, e o la nascita di un altro esecutivo “dall’alto” (cui fare una feroce opposizione), o lo scioglimento delle camere e il voto. È certo possibile che in quest’ultimo caso vinca la destra: ma non bisogna fingere di dimenticarsi che due terzi di questa destra sono già in questo governo, e che Fratelli d’Italia consente di fatto con la gran parte delle scelte di Draghi. E, d’altra parte, se in assenza di una qualunque sinistra, il Movimento 5Stelle di Conte riuscirà ad attrarre qualche consenso in più non sarà certo un male: e difficilmente potrebbe farlo rimanendo a sostenere il “governo dei padroni”.

Ed è proprio qua la vera ragione di questa curiosa corsa a defilarsi delle altre forze di governo: ché se questo governo Draghi fosse davvero la benedizione per il Paese esaltata dai salmodianti servitori che popolano l’informazione italiana, allora quelle forze dovrebbero essere felicissime di spartirsene il merito, e il dividendo elettorale, con un partito di meno. Ma basta leggere i dati dell’ultimo rapporto Inps per capire che è tutto il contrario: questo governo garantisce solo i pochi che non hanno alcun interesse a cambiare lo stato delle cose. Ed è soprattutto per questo che prima cade, meglio è.

[Questo articolo è stato pubblicato anche sul sito Volere la luna]

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