La matrice fascista

La motivazione della sentenza con cui il Tribunale di Roma l’11.07.2022 ha condannato, con rito abbreviato, alcuni manifestanti che il 09.10.2021 avevano assaltato la sede della Cgil, l’avevano invasa e saccheggiata, presenta vari motivi di interesse.

Innanzitutto per la gravità dei fatti accaduti, poi per la singolare gestione dell’ordine pubblico praticata in quella occasione, infine per l’interpretazione che di quei fatti e di quella gestione ha dato il Tribunale di Roma nella sua, peraltro concisa, decisione.

I fatti, innanzitutto, così come descritti in sentenza.

Nel pomeriggio del 09.10.2021 si svolge in Piazza del Popolo, a Roma, una manifestazione autorizzata «in forma statica» dal Questore, diretta a protestare contro l’obbligo del Green Pass sul luogo di lavoro deciso dal governo Draghi e per la quale è prevista una partecipazione di 1.000 persone. Senonché, come accertato dalla Polizia su «fonti aperte», in piazza si riuniscono circa 13.000 manifestanti, giunti «anche da altre regioni», in treno o in macchina.

La stampa dell’epoca fornisce ulteriori particolari. La richiesta di autorizzazione per la «manifestazione statica» è presentata a nome di un’associazione poco conosciuta: «Liberi Cittadini»; più nota è invece la persona che la presenta, Pamela Testa, indicata vicina a Forza Nuova, che alla fine di settembre aveva promosso un video via Telegram, nel quale aveva chiamato a raccolta gli oppositori al Green Pass, convocandoli per la manifestazione romana. Non è chiaro perciò in base a quali calcoli coloro che controllavano le «fonti aperte», avvertiti che i manifestanti sarebbero giunti da tutta Italia, avessero previsto una riunione di sole 1.000 persone.

Ma non è che l’inizio.

In piazza, dal palco, prende la parola Giuliano Castellino, indicato in sentenza come «noto leader del movimento politico di estrema destra “Forza Nuova”, sottoposto alla sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno […] che sobilla i presenti e incita la folla ad avviarsi in corteo per raggiungere e assediare la Cgil pronunciando le seguenti frasi: oggi noi andiamo ad assediare la Cgil, oggi noi partiamo ora in corteo e andiamo a prenderci la Cgil. Noi oggi chiamiamo Landini se rivuole il suo palazzo. Se rivuole la sua sede viene a Roma e proclama lo sciopero generale di tutti i lavoratori contro il green pass. Adesso i microfoni si spengono e si parte tutti verso la Cgil».

Orbene: Castellino in questo processo non è imputato, avendo optato per il rito ordinario, ma il ruolo svolto nella vicenda è invece centrale e il giudice lo afferma chiaramente, riportando per esteso la parte saliente del suo intervento; senonché, raffigurandolo solo come esponente di Forza Nuova, ne fornisce un’immagine riduttiva, che non dà conto della sua storia politica, anche istituzionale.

Se infatti, un anno prima dell’assalto alla Cgil, aveva riportato, a Roma, in primo grado, una condanna a 5 anni e 6 mesi di reclusione, insieme a Vincenzo Nardulli di Avanguardia Nazionale, per l’aggressione a due giornalisti di «L’Espresso», in precedenza era stato anche europarlamentare, subentrato nel ruolo ad Alessandra Mussolini, quindi aveva seguito Storace ne «la Destra» e aveva sostenuto Alemanno nell’elezione a sindaco di Roma: in quel settore politico aveva quindi ricoperto ruoli di rilievo ed era quindi persona ben nota. E conosciuto doveva comunque essere ai funzionari della Digos operanti quel giorno, in quanto “sorvegliato speciale” e fresco destinatario di un Daspo che gli impediva, per 5 anni, di partecipare a manifestazioni pubbliche e sportive. Tuttavia nessuno dei dirigenti di P.S., vistolo salire sul palco e prendere la parola, è intervenuto: così Castellino ha potuto continuare ad arringare la folla, indicare l’obiettivo da colpire, per poi mettersi alla testa del corteo.

Ma – osserva il giudice – Castellino «non opera isolatamente, si muove con il sostegno e l’attiva collaborazione di Fiore Roberto e Aronica Luigi – riconosciuti dalle forze dell’ordine perché già noti appartenenti a movimenti politici di estrema destra – il Fiore quale fondatore del movimento “Forza Nuova” e Aronica luigi, già membro dei Nar».

Anche qui l’indicazione del profilo politico dei protagonisti appare, a dir poco, riduttivo: Fiore era conosciuto dalla Digos romana non tanto per la sua militanza in Forza Nuova, quanto piuttosto per aver fondato, a suo tempo, con Marcello De Angelis e Gabriele Adinolfi il gruppo «Terza Posizione» e per essere stato con loro condannato, in via definitiva, a 5 anni e mezzo di reclusione nel processo che li aveva visti imputati di associazione sovversiva e banda armata. Fiore, fuggito in Inghilterra, dopo una tranquilla latitanza, se ne era poi tornato in Italia; Aronica, più che un generico membro dei Nar, gruppo di terroristi neofascisti con a capo Giusva Fioravanti, ne era stato un attivo e pericoloso protagonista, visto che era stato condannato dalla Corte d’Assise Appello di Roma a 17 anni e 4 mesi di reclusione, sempre per partecipazione a banda armata. Definire Aronica e Fiore solo come «appartenenti a movimenti politici di estrema destra» è perciò quasi un eufemismo.

Dopo questa concisa presentazione, il giudice così prosegue: Castellino, Fiore e Aronica «si pongono alla testa del corteo e manifestano in modo animato al Primo Dirigente della Squadra Mobile, dott. Fernandez, l’intenzione di recarsi presso la sede della Cgil, dicendo “Portateci Landini o lo andiamo a prendere noi” e, assieme, chiedono ai funzionari preposti alla gestione dell’ordine pubblico in Piazza del Popolo la possibilità e, dunque, l’autorizzazione a effettuare il predetto spostamento dinamico in corteo verso i locali della Cgil».

Il proposito minaccioso di «andare a prendere Landini» manifestato da quei tre soggetti avrebbe dovuto provocare una netta presa di posizione da parte dei funzionari interpellati: il fatto che quella previsione sia stato addirittura accompagnata dalla richiesta di una qualche “autorizzazione” denota, invece, tutta l’arroganza eversiva di quei facinorosi, convinti evidentemente di non correre rischi di sorta; una consapevolezza che si rafforza ulteriormente quando «le forze dell’ordine rappresentano la necessità di tempo per valutare le possibili soluzioni alle richieste avanzate», dimostrando così di essere incerte sul da farsi e prive di un reale comando operativo sul posto.

Una simile gestione dell’ordine pubblico, più simile a una resa che a un contrasto, lascia interdetto il lettore. Ma non è di questo parere il tribunale, che anzi ritiene «comprensibile che i due dirigenti della Digos abbiano cercato di prendere tempo, chiedendo di temporeggiare per chiedere al Capo di Gabinetto direttive da seguire». Non sappiamo se questa interlocuzione coi superiori gerarchici sia avvenuta, perché il giudice non ne parla; riferisce solo che nel frattempo è in corso «una c.d. trattativa» dei dirigenti Digos coi manifestanti e in particolare con Fiore Aronica e Castellino, trattativa che viene bruscamente interrotta, perché mentre «il comm. Berti, senza esito alcuno, tenta di parlare facendo opera di dissuasione», Castellino supera «fisicamente l’Ag. Scelto Mormile che cerca di sbarrargli la strada e ripetendo devo passà, richiama con le braccia i manifestanti che indirizza verso la sede della Cgil».

La scena è quasi surreale: tre noti “fascisti del terzo millennio” capeggiano un folto gruppo di camerati che vogliono marciare contro la sede del più grande sindacato italiano per “prendere” il suo segretario: davanti a loro, tuttavia, non vi sono agenti schierati a contrasto, né “partono cariche di alleggerimento”, come succede di solito quando in piazza scendono i centri sociali o pressano i cortei studenteschi. Il giudice è un osservatore terzo e si limita a registrare che, superato lo sbarramento costituito dall’agente Mormile, prende forma e si avvia numeroso un corteo «capeggiato da Casalino urlante frasi del tipo lasciateci passà, dovemo entrà», diretto «nella direzione preannunciata», cioè verso la sede della Cgil; «un corteo – precisa – che gli addetti all’ordine pubblico si sono trovati in qualche modo costretti a tollerare, al fine di non esacerbare ulteriormente gli animi, già molto accesi, per evitare che la nutritissima folla confluisse, come si stava prospettando probabile, verso palazzi istituzionali», dove erano stati «prontamente organizzati gli sbarramenti delle Forze di Polizia».

Non sappiamo se una simile tattica (non esacerbare gli animi accesi dei manifestanti, difendere gli “obiettivi” presunti a discapito di quelli dichiarati) sia quella usata dai dirigenti della Digos o se ciò sia frutto dell’interpretazione dei fatti operata dal giudice. L’aver comunque privilegiato la “difesa” dei “palazzi istituzionali” ha fatto sì che il corteo guidato da Fiore, Aronica e Castellino abbia potuto raggiungere invece il palazzo del sindacato e che i più determinati tra i manifestanti abbiano fatto irruzione al suo interno, devastandolo.

«I danni realizzati nel piano terra dello stabile visibili nelle immagini e descritti nell’annotazione in atti – attesta il giudice – consistono in arredi gettati a terra e distrutti, stanze a soqquadro, vetri infranti, documenti, libri, suppellettili sparsi ovunque, stampanti e computer strappati dalle scrivanie e gettati altrove. La durata effettiva dell’azione di invasione e devastazione ha avuto inizio alle h. 17.27 e termine alle h. 18.20» (p. 8).

I sei imputati di questo processo sono personaggi minori: tra di essi vi è il figlio della compagna di Castellino, un paio sono militanti di Forza Nuova, altri due sono attivi nelle curve degli stadi; il tribunale, al termine del processo, individuate grazie ai filmati le singole responsabilità, li condanna per il reato di devastazione e saccheggio (e non per il più blando danneggiamento aggravato, come richiesto dalle difese) a pene varianti da 4 anni e mezzo a 6 anni di reclusione.

Senonché, dovendo provvedere a ristorare i danni subiti alle parti civili costituite, il tribunale ritiene che l’Anpi non abbia diritto ad alcun risarcimento, non avendo subito neppure un «danno morale», poiché tale associazione tutelerebbe solo «l’onore partigiano contro ogni forma di vilipendio e speculazione» e non sarebbe stata comunque lesa nei suoi valori, dato che la protesta non aveva una «matrice fascista».

Orbene, a parte il fatto che l’Anpi non tutela solo «l’onore partigiano», ma più ampiamente i «valori che la Resistenza ha consegnato alle nuove generazioni come elemento fondante della Repubblica e della Costituzione» (art. 23 dello Statuto), tra i quali spicca primario l’antifascismo, stupisce che il giudice non sia stato in grado di definire in modo compiuto la matrice della protesta.

Come ricordava Salvemini nelle sue Lezioni di Harvard, infatti, l’assalto e la distruzione delle sedi del sindacato “rosso” è stata in Italia prerogativa del solo movimento fascista e non di altri partiti («i bolscevichi – aveva puntualizzato – non devastarono neppure una volta gli uffici degli industriali»); e le immagini dello stato della sede della Cgil dopo l’invasione (solo in piccola parte diffuse dalla televisione) rimandano inevitabilmente a quei filmati degli anni venti che hanno immortalato le “eroiche imprese” degli squadristi fascisti che devastavano le Camere del lavoro, filmati che anche la Rai periodicamente manda in onda, come rievocazione, però, di una storia lontana, irripetibile.

Ma il giudice, in questa sua valutazione, non è affatto isolato, visto che ha solo ripetuto quanto con ben maggiore peso politico aveva detto “a caldo” Giorgia Meloni (quel giorno a Madrid per partecipare alla convention di Vox), dichiaratasi non in grado di individuare la matrice di quell’episodio di sicuro squadrismo («Il sole 24 ore», 10.10.2021). Difficile crederle, tuttavia, visto che «la maggior parte dei giovani che [avevano dato] vita ai Nar [proveniva] dalle sezioni del Fronte della Gioventù e, soprattutto, dal Fuan romano» (così Nicola Rao, neodirettore del Tg 2, Neofascisti!, 1999, p. 196) e che lei quell’album di famiglia, «Terza Posizione» compresa, lo conosceva di conseguenza assai bene.

Ma tant’è.

Chi ha fatto quelle dichiarazioni, inviando però il cognato Francesco Lollobrigida a manifestare la solidarietà del partito alla Cgil, un anno dopo è diventata presidente del Consiglio (e il cognato ministro); una gran parte dell’opinione pubblica, per anni abituata a conoscere la storia d’Italia attraverso le pagine di Montanelli-Cervi e la cronaca politica attraverso l’annuale libro di Vespa, è stata alla fine persuasa dalla quasi generalità dei media della inutilità di tornare a discutere di fascismo e antifascismo (e, soprattutto, dei valori e delle culture a essi sottesi); i cittadini votanti hanno così premiato i partiti che dell’“anti-antifascismo” hanno fatto una bandiera. E Galli della Loggia, subito dopo l’esito delle elezioni, il 03.10.2022, ha sostenuto sul «Corriere» che in fondo è sbagliato chiedere oggi agli italiani (rectius alla Meloni) un’abiura dal fascismo, visto che i costituenti già avevano chiuso la partita con quel regime con la XII disposizione finale, quella sulla ineleggibilità quinquennale dei gerarchi, definita appunto «transitoria»: l’antifascismo doveva essere temporaneo, dunque.

Bene: è in questa temperie culturale che Castellino, uscito a luglio dal carcere dopo aver trascorso 9 mesi in custodia cautelare, è stato autorizzato da un parlamentare girovago, Francesco Gallo, eletto col partito di Catena De Luca «Sud chiama Nord», a presentare nella sala stampa della Camera dei deputati la nuova sigla «Italia Libera», fondata per l’occasione con l’avv. Taormina, senza che il neopresidente Fontana avesse nulla da obiettare; e solo all’ultimo momento e solo per le proteste insorte, questa ennesima provocazione è stata evitata, l’autorizzazione è stata revocata e a Castellino è stato vietato l’ingresso.

Almeno in Parlamento.

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