La Corte Costituzionale torna sui crimini nazifascisti

La Corte costituzionale si è pronunciata di nuovo sulla giustizia civile per i crimini nazifascisti1. Come nella sentenza del 20142, le questioni giuridiche sviluppate non riguardano solo il passato, ma la responsabilità degli Stati per tutti i crimini di guerra e contro l’umanità3. C’è bisogno di dire che il tema scotta? Eppure, questa decisione è più debole di quella di nove anni fa.

Stavolta la rimessione riguardava sostanzialmente l’impossibilità di iniziare o proseguire l’esecuzione civile, solo a carico della Germania e solo per i crimini commessi nella Seconda guerra mondiale4. Il Tribunale aveva colto la questione di fondo: «Il legislatore statale sembra aver creato una fattispecie di ius singulare, che, spiegando i suoi effetti in un processo già iniziato, determina un evidente sbilanciamento a favore della parte esecutata [lo Stato tedesco]». L’esito è una dichiarazione di infondatezza della questione e, anche se nel ragionamento della Corte ci sono affermazioni apprezzabili, la giustizia non ne esce vincente.

Anzitutto, la motivazione della Consulta contiene ritorni ed esposizioni sfocate. Comunque, si segnala la presenza nel processo di un amicus Curiae a sostegno delle vittime5. L’amicus Curiae citava anche la Corte suprema dell’Ucraina, favorevole al ridimensionamento dell’immunità statuale (in quel caso, della Russia); ma secondo una memoria, presentata alla Corte dall’Avvocatura dello Stato, le decisioni ucraine «non possono essere considerate espressione di una nuova consuetudine internazionale»6. Sembra che di Kiev si apprezzino solo le armi, non le sentenze.

In punto di diritto la Consulta ricorda il suo provvedimento del 2014, favorevole alla giurisdizione, e formalmente non lo contraddice. Però distingue:

Vale per il giudizio di cognizione. Invece, nella diversa sede del processo esecutivo, al quale non si riferisce la citata sentenza n. 238 del 2014, la prospettiva è diversa perché il canone dell’immunità ristretta degli Stati vale non già ad escludere la giurisdizione del giudice nazionale, bensì a limitare i beni suscettibili di pignoramento e di esecuzione forzata. […] La dottrina dell’immunità degli Stati non scherma affatto la giurisdizione del giudice in sede esecutiva, ma incide sui beni dello Stato suscettibili di espropriazione forzata. Se questi sono riferibili ad una funzione in senso lato pubblicistica, ossia ad attività iure imperii, vi è l’immunità (quella cosiddetta ristretta) e quindi essi non sono pignorabili nel contesto di una procedura di espropriazione forzata. Se, invece, si tratta di beni, che attengono all’attività iure gestionis dello Stato, essi sono pignorabili normalmente7.

Insomma, mentre la giurisdizione di cognizione non si discute, la soggezione all’esecuzione va vista caso per caso. Per chiarire il concetto, già che c’è, la sentenza ribadisce che non si toccano né Villa Vigoni né i conti corrrenti di sedi diplomatiche o consolari8.

Con queste premesse, il discorso si spinge in una ricostruzione gracile della contesa sui risarcimenti, cominciando dalla Grande guerra e dalla Conferenza di Losanna del 1932. Poi viene al dunque:

Rispetto al più generale tema della riparazione dei danni di guerra, emerge, come esigenza peculiare e speciale, quella di apprestare un ristoro alle vittime dei crimini di guerra nazisti; esigenza avvertita sia in Germania – dapprima con la legge federale sul risarcimento delle vittime della persecuzione nazionalsocialista e in seguito con un’altra legge federale, istitutiva della Fondazione “Memoria, Responsabilità e Futuro” – sia in Italia, con disposizioni varie […] fino a quella censurata. Ben presto, nel nuovo clima europeo ispirato a ideali di pace, concordia e comunanza di valori fondamentali, è maturata un’iniziativa congiunta volta a dare una risposta condivisa, e non già solo unilaterale, a questa esigenza. Si tratta di due contestuali (e connessi) Accordi tra la Repubblica Italiana e la Repubblica federale di Germania con scambi di Note, conclusi a Bonn il 2 giugno 1961, concernenti, l’uno, il regolamento di alcune questioni di carattere patrimoniale, economico e finanziario, e l’altro, gli indennizzi a favore dei cittadini italiani che erano stati colpiti da misure di persecuzione nazionalsocialiste9.

Il tempo del nuovo clima europeo rischiarato da pace, concordia e valori è quello della costruzione del Muro di Berlino; forse il periodo in cui il continente è stato più diviso, in età moderna.

Probabilmente è anche per via di questo malinteso, che la Consulta, riconoscendo nell’Accordo di Bonn e nel suo contesto un tratto irenico e risolutivo, avverte come disturbante ciò che in seguito ha rimesso in discussione le cose:

All’epoca dell’Accordo di Bonn del 1961 e per molti anni a seguire si riteneva che il principio dell’immunità ristretta degli Stati, col fatto di negare la giurisdizione del giudice nazionale, schermasse ogni pretesa risarcitoria individuale, ulteriore rispetto ai suddetti benefici. […] Questo, per lungo tempo, è stato anche l’orientamento della giurisprudenza della Corte di cassazione10.

Qui si affaccia il riparazionismo, una trovata furba avallata dalla politica berlusconiana col vertice italo tedesco di Trieste, corollario e compimento di una pacificazione, di un ritorno al bel tempo antico:

In seguito ci sono state anche iniziative comuni per creare una nuova cultura della memoria. In una dichiarazione congiunta dei governi della Repubblica federale di Germania e della Repubblica italiana, fatta a Trieste (in occasione della visita, altamente simbolica, dell’ex campo di concentramento della Risiera di San Sabba) il 18 novembre 2008, sono state solennemente riconosciute le “indicibili sofferenze inflitte a uomini e donne italiani, in particolare durante i massacri, e agli ex internati militari italiani”11.

Questo idillio consacrato dai riconoscimenti ufficiali è stato guastato:

Il panorama, fin qui sommariamente descritto, muta radicalmente a partire dalla sentenza Ferrini (Corte di cassazione, sezioni unite civili, sentenza 11 marzo 2004, n. 5044) che, operando un netto revirement rispetto alla giurisprudenza precedente, afferma che per gli atti posti in essere nel corso di operazioni belliche costituenti crimini internazionali in violazione di diritti fondamentali della persona umana vi è una deroga al principio dell’immunità, pur ristretta, degli Stati; quella che poi sarà chiamata “eccezione umanitaria”12.

La Consulta dice bene: la descrizione è fatta sommariamente. È fatta anche invertendo l’ordine: prima c’è la sentenza Ferrini; nel 2008 arrivano altre sentenze basate sugli stessi principi; dopo, alla fine dello stesso anno, c’è il vertice di Trieste, per correre ai ripari e sostituire la giustizia con la memoria.

A proposito di rapporti internazionali. L’Accordo di Londra del 1953 nella sentenza non è neanche nominato, benché nel processo ne fosse stata chiesta l’applicazione13. Quell’Accordo stenta a farsi riconoscere, nella giurisprudenza, anche se in tempi recentissimi è stato valorizzato14. Quanto all’Accordo di Bonn, la Corte dà per scontato che si applichi a questi crediti, mentre c’è un solido orientamento contrario; va in tal senso anche la Cassazione, in particolare nella pronuncia sulla strage di Civitella, emessa dopo un ricorso della Germania molto combattivo15. Praticamente, ridando spazio all’Accordo di Bonn la Consulta rifà il processo di Civitella, in peius per le vittime, e rimette indietro le lancette della storia. In più lascia intendere, fra le righe, che la sua stessa pronuncia del 2014 non avrebbe dovuto essere emessa per difetto di rilevanza, perché la domanda, comunque, sarebbe stata infondata nel merito.

Dopo l’esposizione dei passaggi della questione, viene confermata la saldatura con l’Accordo di Bonn:

In questo mutato contesto soprattutto giurisprudenziale si è posto per il legislatore italiano il problema dell’efficacia dell’accordo del 1961, che conteneva – come già rilevato – la clausola liberatoria in favore della Repubblica federale di Germania e a carico dello Stato italiano. Il termine decadenziale ultimo per far valere pretese indennitarie, fissato dall’art. 6 del d.P.R. n. 2043 del 1963, è risultato, alla fine, superato nella misura in cui si è riconosciuta, a partire dalla ricordata pronuncia del 2014 di questa Corte, l’azionabilità innanzi al giudice ordinario della domanda di risarcimento del danno, nei confronti della Repubblica federale di Germania, per gravi lesioni dei diritti umani conseguenti a condotte qualificabili quali crimini contro l’umanità, imputabili al Terzo Reich nel periodo della seconda guerra mondiale16.

Il discorso non regge perché è sbagliata la premessa. In realtà, l’Accordo di Bonn non si applica a questi crediti, si vuole applicarlo a tutti i costi, è troppo tardi e si prova a estenderlo presentando il termine, stabilito sessant’anni fa, come «superato nella misura in cui». Forse, siccome la sentenza del 2014 ha messo in crisi il sistema, allora l’Accordo deve essere esteso anche forzando il termine di decadenza. Così si spiegherebbero quelle parole un po’ fuori moda, «nella misura in cui», un’espressione gergale che suggerisce un nesso non strettamente causale e non del tutto occasionale, un legame non altrimenti esprimibile. «Nella misura in cui» è un modo di dire connotato, è l’assaggio di un’epoca17.

La motivazione insiste: dopo il 2014 sono riprese le condanne della Germania e «talora – come riferito dall’Avvocatura dello Stato in udienza – la condanna è stata estesa in solido allo Stato italiano»18 (su questo, la decisione segue la narrazione inattendibile che si è sentita in udienza19). Quindi c’era bisogno di normalizzazione:

Tali iniziative giudiziarie hanno indotto il legislatore italiano ad intervenire, in vista dell’obiettivo del mantenimento di buoni rapporti internazionali, ispirati a principi di pace e giustizia, anche in considerazione del vincolo costituzionale (art. 117, primo comma, Cost.) del rispetto dei trattati, quale certamente è l’Accordo di Bonn del 1961. […] Proprio in continuità con tale Accordo, lo Stato si fa carico – con una norma virtuosa, anche se onerosa – del “ristoro” dei danni subìti dalle vittime di crimini di guerra, compiuti, dalle forze armate del Terzo Reich, sul territorio italiano o comunque in danno di cittadini italiani20.

La scelta è definitiva e virtuosa. Ma poche volte la virtù si è trovata in imbarazzo come di fronte all’inadempimento tedesco.

Qui si arriva al cuore della motivazione, e insieme alla sua parte più insidiosa, perché riguarda le garanzie e tutti i crimini di guerra e contro l’umanità:

Questa Corte ha più volte affermato che la garanzia della tutela giurisdizionale dei diritti assicurata dall’art. 24 Cost. comprende anche la fase dell’esecuzione forzata, in quanto necessaria a rendere effettiva l’attuazione del provvedimento giudiziale (sentenze n. 140 del 2022, n. 128 del 2021, n. 522 del 2002 e n. 321 del 1998); e ciò è tanto più vero quando leso è un diritto fondamentale (art. 2 Cost.). Per altro verso, costituisce un principio dell’ordinamento giuridico il rispetto dei vincoli derivanti dagli obblighi internazionali e quindi dai trattati (sentenza n. 102 del 2020), le cui disposizioni – secondo la giurisprudenza di questa Corte a partire dalle note sentenze n. 348 e n. 349 del 2007 – sono finanche elevate a parametri interposti della legittimità costituzionale della normativa interna (art. 117, primo comma, Cost.). La disposizione censurata opera un non irragionevole bilanciamento tra questi principi, tutti di rango costituzionale21.

Da un lato la giustizia per le persone, dall’altro le relazioni internazionali, cioè la ragion di Stato, gli arcana imperii, le cancellerie, il potere e i suoi segreti. La legge ha fatto un bilanciamento e va bene così. Il bilanciamento si ripresenta, nella sentenza, sia connesso al fondo-ristoro sia in relazione agli articoli 3 e 111 della Costituzione:

L’assoluta peculiarità della fattispecie, che vede la necessità di bilanciamento tra l’obbligo di rispetto dell’Accordo di Bonn del 1961 e la tutela giurisdizionale delle vittime dei suddetti crimini di guerra, costituisce ragione giustificatrice sufficiente per una disciplina differenziata ed eccezionale, la quale – per tutto quanto sopra argomentato – segna un non irragionevole punto di equilibrio nella complessa vicenda degli indennizzi e dei risarcimenti dei danni da crimini di guerra»22.

Quell’insistito «non irragionevole», con la doppia negazione, dà il timbro del provvedimento. Per questo, come è stato notato da un autorevole osservatore, l’Accordo di Bonn ha un ruolo di deus ex machina nella logica della decisione, nel senso che fa da «parametro interposto» nel bilanciamento di principi costituzionalmente rilevanti23.

Proprio sull’Accordo di Bonn. Va ribadito – la Corte ne dà conto – che in realtà gli Accordi sono due, entrambi conclusi il 2 giugno 1961: uno è l’Accordo per il regolamento di alcune questioni di carattere patrimoniale, economico e finanziario, reso esecutivo col d.p.r. n. 1263 del 1962; l’altro è l’Accordo per gli indennizzi a cittadini italiani colpiti da misure di persecuzione nazionalsocialiste, reso esecutivo con la legge n. 404 del 1963. Nessuno dei due permette di considerare estinti i crediti nei confronti della Germania, e questo è certo sin dal primo grado nel processo su Civitella24. Inoltre il decreto-legge del 2022 e la sentenza della Corte costituzionale non hanno fatto riferimento allo stesso Accordo, e così hanno creato una certa confusione, subito notata dalla dottrina25. È stato anche osservato:

Pare difficile orientarsi nella selva oscura che circonda gli Accordi di Bonn, divenuti ora molto misteriosi. La conclusione che sembra più plausibile, cioè che nessuno dei due riguardi molte delle vittime italiane di crimini di guerra e contro l’umanità, appare contraddetta sia dalla sentenza 159/2023, sia dalla legge 79/2022, che, a loro volta, si contraddicono l’una con l’altra quanto alla scelta dell’accordo pertinente26.

Sul ruolo della Cassazione. La Consulta ritiene che l’orientamento delle sezioni unite civili sia stato «smentito» dalla Corte internazionale di giustizia; in realtà la Corte dell’Aia non può smentire la Cassazione, ma solo intendere diversamente il diritto internazionale, ed eventualmente considerare lesiva del diritto internazionale la posizione dell’Italia; è quanto è stato fatto nel 2012, proponendo un’interpretazione che la Cassazione, dopo, ha ritenuto non vincolante27.

Ancora. La decisione della Corte trascura il segno politico dell’origine dei crediti: stragi e deportazioni furono armi contro la formazione di un’Italia nuova, ostacoli sul cammino fra la caduta del fascismo e la Liberazione che portò alla Costituzione. Una presa in carico del debito mediante il fondo-ristoro, che comporta un beneficio per lo Stato allora occupante, apre molti interrogativi.

Per inciso, nessuno dei componenti della Corte, in questa decisione, partecipò a quella del 2014. Si nota soprattutto l’assenza di Giuseppe Tesauro, allora presidente e redattore, che in seguito si espresse con convinzione per la giustizia28. A differenza che nel 2014, nella decisione del 2023 la Consulta è presieduta da una donna, e mentre nel 2014 c’era una sola giudice, in questa ce ne sono tre. Considerando che le donne sono più esposte ai crimini di guerra e contro l’umanità, se qualcuno si aspettava maggiori aperture, probabilmente sopravvalutava l’elemento di genere nella sostanza delle più importanti decisioni.

Quanto alla realizzazione dei crediti, c’è un’affermazione impegnativa: «Al decreto interministeriale, poi, sono state demandate le “modalità di erogazione” – non già la rimodulazione quantitativa – degli importi agli aventi diritto. […] Ciò conferma ulteriormente la prospettiva di piena esecuzione della sentenza passata in giudicato»29. La Corte ribadisce il concetto:

Non c’è un diritto a un mero indennizzo in sostituzione del risarcimento del danno. Né è previsto un meccanismo di riparto delle somme disponibili, come quello contemplato dall’art. 10 del d.P.R. n. 2043 del 1963 per il calcolo della quota personale di ciascun richiedente ammesso alla ripartizione dell’importo complessivo erogato dalla Germania in esecuzione dell’Accordo di Bonn del 1961. È prescritto, invece, un soddisfacimento integrale del credito risarcitorio. […] L’estinzione ex lege dei giudizi in sede esecutiva, ai quali comunque si applicherebbe l’immunità ristretta degli Stati quanto ai beni pignorabili, è compensata dalla tutela riconosciuta nei confronti del Fondo, che è di pari importo e anzi soddisfa maggiormente le aspettative dei creditori (eredi delle vittime dei crimini di guerra) perché non c’è l’incertezza legata all’operatività dell’immunità ristretta degli Stati in sede esecutiva30.

Soddisfacimento integrale, allora, secondo la sentenza (in questo, conforme a dichiarazioni dell’Avvocatura dello Stato in udienza). Un’asserzione, secondo una pronuncia recente di merito, spendibile a sostegno di un’interpretazione favorevole alle azioni esecutive dei creditori stranieri31. Anche la dottrina sta facendo assegnamento sul pagamento pieno. Così, l’osservatore già citato ha preso atto del «diritto a un risarcimento integrale»32. Si è anche scritto:

Se pare non esservi più alcun dubbio sulla possibilità che il Fondo eroghi l’intero quantum dei risarcimenti (sarebbe quanto mai inverosimile un revirement rispetto alle dichiarazioni dall’Avvocatura durante l’udienza dinanzi alla Consulta!), si potrebbe tuttavia anche sostenere che la decisione della Corte vincoli ora l’azione statale33.

Quel si potrebbe segnala i dubbi. C’è da chiedersi che succederebbe, se gli stanziamenti non bastassero o se le resistenze a pagare in base a titoli esecutivi – alcune si sono già manifestate – prevalessero sui crediti. In che modo i familiari delle vittime potrebbero invocare le rassicurazioni della Consulta? o l’inverosimiglianza di un revirement dell’Avvocatura dello Stato? Sono alcune delle domande che al momento non hanno risposta. Un altro interrogativo, che la rimessione non ha posto perché è stata formulata in un processo di esecuzione, cioè basato su un credito già oggetto di giudizio, potrebbe riguardare la legittimità del divieto di cominciare nuovi processi di cognizione nei confronti della Germania, sia per i creditori stranieri sia per quelli italiani.

La vertenza dovrà ancora avere sviluppi.

 

1 Corte cost. 21 luglio 2023, n. 159, presidente Silvana Sciarra, redattore Giovanni Amoroso.

2 Corte cost. 22 ottobre 2014, n. 238, presidente redattore Giuseppe Tesauro.

3 Sulla complessiva vertenza mi permetto di rinviare a Luca Baiada, Elena Carpanelli, Aaron Lau, Joachim Lau, Tullio Scovazzi, La giustizia civile italiana nei confronti di Stati esteri per il risarcimento dei crimini di guerra e contro l’umanità, Editoriale Scientifica, Napoli 2023.

4 Trib. Roma, ufficio esecuzioni immobiliari, 21 novembre 2022.

5 «In data 20 gennaio 2023, è stata depositata opinione amicus Curiae del Gruppo di sopravvissuti e di familiari vittime strage di Mommio 4-5-maggio 1944», Corte cost. 21 luglio 2023 n. 159, par. 5 delle considerazioni in fatto.

6 Corte cost. 21 luglio 2023 n. 159, par. 7 delle considerazioni in fatto.

7 Corte cost. 21 luglio 2023 n. 159, paragrafi 3.1 e 3.2 delle considerazioni in diritto.

8 Decreto-legge n. 132 del 2014, convertito con la legge n. 162 del 2014.

9 Corte cost. 21 luglio 2023 n. 159, paragrafi 5 e 6 delle considerazioni in diritto.

10 Corte cost. 21 luglio 2023 n. 159, par. 8 delle considerazioni in diritto.

11 Corte cost. 21 luglio 2023 n. 159, par. 8 delle considerazioni in diritto.

12 Corte cost. 21 luglio 2023 n. 159, par. 9 delle considerazioni in diritto.

13 Accordo sui debiti esteri tedeschi, Londra 27 febbraio 1953 (Agreement on German External DebtsAbkommen über deutsche Auslandsschulden o Londoner Schuldenabkommen, LSCHABK), ratificato in Italia con d.p.r. n. 1712 del 1965.

14 Trib. Firenze, 2 luglio 2023, dep. 3 luglio 2023 n. 2064.

15 Cass. 21 ottobre 2008, dep. 13 gennaio 2009, n. 1072, pp. 20-22. Il ricorso per cassazione proposto dalla Germania, di 43 pagine, invoca tutti gli strumenti e gli argomenti di diritto internazionale che ritiene favorevoli.

16 Corte cost. 21 luglio 2023 n. 159, par. 10 delle considerazioni in diritto.

17 Negli anni Settanta e Ottanta Nella misura in cui è il titolo di libri e di un film. Chi scrive ricorda uno slogan, scandito nel 1977 da gruppi del movimento, per sbeffeggiare il lessico usuale della sinistra, specialmente quello delle assemblee e dei capetti: «Compagni / cioè / nella misura in cui! / Compagni / cioè / nella misura in cui!».

18 Corte cost. 21 luglio 2023 n. 159, par. 10 delle considerazioni in diritto.

19 Mi permetto di rinviare a Luca Baiada, Diritti negati alle vittime delle stragi nazifasciste, «il Fatto Quotidiano», 9 luglio 2023, p. 15.

20 Corte cost. 21 luglio 2023 n. 159, paragrafi 10-11 delle considerazioni in diritto.

21 Corte cost. 21 luglio 2023 n. 159, par. 13 delle considerazioni in diritto.

22 Corte cost. 21 luglio 2023 n. 159, par. 18 delle considerazioni in diritto.

23 Tullio Scovazzi, Un passo avanti in un contesto complesso, di prossima pubblicazione nel n. 4/2023 della «Rivista di Diritto Internazionale».

24 Trib. mil. La Spezia, 10 ottobre 2006, dep. 2 febbraio 2007 n. 49.

25 «Peculiare è il fatto che la Corte abbia fatto specifico riferimento all’Accordo di Bonn reso esecutivo con L. 6 febbraio 1963, n. 404, sostenendo come questo rilevasse maggiormente nel giudizio. […] L’art. 43 afferma invece di voler dare continuità all’Accordo di Bonn reso esecutivo con d.P.R. 14 aprile 1962, n. 1263. […] La decisione dei giudici costituzionali non sembra dunque porsi in perfetta armonia con quanto espressamente richiamato dall’art. 43», Giorgia Berrino, La decisione che ci aspettavamo (o quasi): sulla sentenza della Corte costituzionale del 4 luglio 2023, n. 159, tra condanne al risarcimento dei danni per crimini nazisti, preclusione dell’esecuzione forzata e fondo ristori, 7 agosto 2023, www.sidiblog.org, par. 8.

26 Scovazzi, Un passo avanti in un contesto complesso, cit.

27 Cass. 30 maggio 2012, dep. 9 agosto 2012, n. 32139, p. 19: la Cassazione decide conformemente all’Aia, ma «nella evidenza della totale autonomia della funzione giurisdizionale – e pertanto della piena libertà di decidere della Corte di legittimità che di essa è massima espressione – da vincoli diretti e immediati scaturenti dal dictum della Corte internazionale».

28 Un’esplicita presa di posizione di Tesauro è nel convegno della Fondazione per la critica sociale Stragi e deportazioni nazifasciste: per la giustizia e contro l’ambiguità, in Senato, 7 marzo 2019, www.youtube.com/watch?v=gpDYeJPX4gU.

29 Corte cost. 21 luglio 2023 n. 159, par. 16 delle considerazioni in diritto.

30 Corte cost. 21 luglio 2023 n. 159, par. 17 delle considerazioni in diritto.

31 Trib. Roma 20 settembre 2023, dep. 22 settembre 2023 n. 13452.

32 Scovazzi, prima intervistato da Massimiliano Boni, Dopo la sentenza della Corte costituzionale l’Italia non può più tirarsi indietro, 31 luglio 2023, in «Riflessimenorah.com», poi con Un passo avanti in un contesto complesso, cit.

33 Berrino, La decisione che ci aspettavamo (o quasi), cit., par. 9.

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