La Grecia tra il sì e il no

Greciadi Rino Genovese

Forse non c’era altro da fare, e del resto già qualche anno fa il governo socialista aveva tentato di indire un referendum sull’Europa (dovendo poi rapidamente capitolare), ma la scommessa di Tsipras e Varoufakis è di quelle che fanno tremare le vene i polsi. Perché la questione proposta oggi, domenica 5 luglio, all’elettorato greco non è di quelle che si lascerebbero sciogliere con un referendum. La paura del peggio, che spinge ad attenersi al noto per quanto nero sia, può facilmente prevalere sulla speranza del meglio, che invece ha le sembianze dell’ignoto. È la sensazione di un salto nel buio che potrebbe indurre gli elettori a dare una maggioranza al sì. Sull’altro piatto della bilancia non c’è l’uscita della Grecia dalla zona euro – sebbene questa sia una minaccia che viene fatta pesare –; l’ignoto ha piuttosto i contorni della crisi immediata e prolungata, con una Bce che, stringendo i cordoni della borsa, provocherebbe la chiusura a tempo indeterminato delle banche, con tutte le ricadute immaginabili, e già oggi evidenti, sulla vita quotidiana delle persone. È il perpetuarsi della sfida che incute paura.

Di sicuro c’è che il governo Tsipras non si è piegato, non si è rassegnato all’esistente, cioè alle pretese dei creditori internazionali. La soluzione del caso Grecia passa per un abbandono delle politiche fin qui seguite: il taglio di circa un terzo del debito accumulato è una conditio sine qua non per una ripresa. Ma pensare che una linea antiliberista in Europa possa poggiare principalmente sulle spalle di una coalizione di governo tra sinistra e nazionalisti, con un partito come Syriza (a sua volta un’alleanza tra diversi gruppi) che è intorno al trenta per cento dei consensi, beh, sarebbe una pura illusione. La battaglia per il rovesciamento delle politiche neoliberiste e di austerità in Europa ha nel referendum greco un momento importante ma non la sua prova del nove. Tsipras e Varoufakis potranno vincere o perdere (e starà a loro vedere, eventualmente, che cosa fare dopo), ma in ogni caso la battaglia continua.

Si tratta di una battaglia – voglio scriverlo qui chiaramente – che non potrà avere un esito positivo senza un vistoso cambiamento da parte del socialismo europeo. Che uno come Hollande, che in campagna elettorale aveva promesso di impegnarsi per una rinegoziazione del patto di stabilità, poi non ne abbia fatto nulla, e anzi nella stessa Francia abbia applicato una ricetta neoliberista moderata (con la cosiddetta “politica dell’offerta”), è qualcosa di più di un tradimento dell’elettorato: è una vera e propria bancarotta morale, prima che politica, che si esprime oggi nel disorientamento dinanzi al coraggio dimostrato dal governo greco.

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