Dal governo costituente al governo stantio

Gentilonidi Mario Monforte

Al referendum del 4 dicembre il no è stato schiacciante e in base a una grande partecipazione popolare (contro la precedente tendenza al crescente non-voto): con il no alla riforma renziana è stato detto no a tutto l’operato del governo di Renzi & Co., e all’insopportabile ciarlataneria ottimistica dei racconti renziani, in urto con la tutt’altra realtà del paese. Renzi, sempre difendendo quanto ha fatto a dispetto di ogni evidenza, ha annunciato platealmente le sue dimissioni e le ha messe in atto personalmente, ma è stato un no a tutto il suo governo, che peraltro si era arrogato, contro ogni regola, di fare il «governo costituente», tuttavia gli altri suoi sodali non hanno voluto trarre le stesse conclusioni. Di conseguenza, il “ligio” (a chi l’ha posto alla presidenza della Repubblica) Mattarella non ha nemmeno pensato a indicare un segnale di discontinuità, con un governo provvisorio che provvedesse al piú presto a espletare le incombenze piú pressanti (da una piú decente legge elettorale, ai decreti attuativi della legge di bilancio, alla situazione banche, Mps in primo luogo, all’azione concreta per le zone terremotate, presenziando alle scadenze internazionali senza prendere impegni) per andare quanto prima alle elezioni.

Invece, trincerandosi dietro la prassi (come se prassi e regole non fossero state messe in non cale dal 2011), ha conferito l’incarico di governo all’indicato (da Renzi) Gentiloni, nella riconferma di tutto il precedente governo, con un parziale stantio «rimpasto» (è esclusa solo la Giannini, come se la “buona”, ma in effetti pessima, scuola fosse solo colpa sua), inserendo Minniti, la Finocchiaro, la Fedeli (millantatrice di una laurea), e altri nei sottosegretariati, confermando anche la Madia (a premio per la sua riforma della P.A. bocciata dalla Consulta?) e addirittura promovendo la Boschi, cofirmataria della riforma renziana (e coautrice ne è anche la neo-ministra Finocchiaro), la quale a sua volta aveva annunciato le dimissioni in caso di sconfitta referendaria (ma, chissà, se ne sarà dimenticata), nonché premiando l’ineffabile Lotti (sul quale, appunto, non vi sono parole) e anche l’incredibile Alfano con il suo Ncd (ma escludendo Verdini e i suoi, troppo impresentabili: però si dovrà poi dar loro qualcosa, pena agguati in parlamento), e cosí via.

Si sono scatenate le denominazioni sarcastiche: governo Renziloni, governo Genticloni, governo Gentirenzi. Indiscutibili: infatti Gentiloni, presentando questo governo, ha lodato il governo Renzi e ha rivendicato la continuità con esso.

Protervia insolente senza limiti, disprezzo totale del verdetto popolare, volontà renziana di “rifarsi”, decisione supponente di proseguire lo stesso, in base a una maggioranza parlamentare scaturita da una legge elettorale incostituzionale (il Porcellum), spinta di tanti illustri sconosciuti, “miracolati” da tale legge, ad arrivare alla scadenza necessaria per godere del vitalizio – si sommano: dalla “schifezza” di riforma costituzionale – che perciò è stata chiamata “schiforma” – eccoci a questa seguente “schifezza” di governo, il quarto non eletto imposto al paese, su cui però già incombe, ponendolo in ulteriore stato confusionale, il probabile referendum promosso dalla Cgil contro il Job’s Act (ripristino dell’art. 18, stop ai voucher, revisione appalti), i cui esiti appaiono scontati in partenza.

E questo è quanto, ed è anche un altro evidente errore politico ancora, servito sul classico «piatto d’argento» agli attacchi continuativi delle opposizioni. Ma si tratta solo di questo o c’è anche dell’altro?

Per capirlo occorre tornare al referendum, partendo, invece che dai no, dai . Alcuni miei amici dei Campi Flegrei, tutti per il no, temevano qualche effetto-De-Luca-compera-voti, ma, per il resto, sapevano dell’ostilità a Renzi nell’area – e l’effetto-De-Luca (giustamente ora sotto inchiesta per «incitazione al voto di scambio») non ha inciso (con tanto di discredito aggiuntivo della perla dei 9.000 euro all’attrice Arcuri per … accendere l’albero di Natale a Salerno). A Firenze e in Toscana amici e conoscenti, tutti per il no, temevano però il successo del . E in Toscana il ha vinto, pur in modo risicato e non dovunque, ma a Firenze in pieno, e ha vinto anche in Emilia-Romagna, pur a sua volta in modo risicato e non dovunque, ma in pieno in Trentino, e cosí nelle grandi città del Nord e Centro, e soprattutto in diversi centri cittadini, e vi sono anche altrove. Non ho mai mutato la mia previsione (vittoria piena del no, che nelle ultime settimane ho pronosticato a circa il 60% dei voti effettivi: lo attestano mie e-mail, sms e testimoni diretti), fondata sull’analisi della situazione nazionale. Ma, se si fosse votato solo nelle aree indicate, avrei errato. «È tutto bene quel che finisce bene», però resta questo dato. Lotti, da par suo, ha già sentenziato: «siamo partiti dal 40% alle europee e con il 40% dei al referendum possiamo sempre vincere» – e questa è l’idea di Renzi e renziani.

Che cos’era il ? Sí all’accentramento autoritario e dirigistico della gestione statale nel paese, in funzione dell’oligarchia (politica, economica, sociale) interna e in subordinazione a quella estera – e l’oligarchia interna è in avanzata fusione con quella estera –, quindi agli imperativi dell’Unione (anti-)europea e del grande capitale transnazionale (finanziario e speculativo: i cosiddetti «mercati»). Chi l’ha sostenuto e votato? L’oligarchia stessa, le sue organizzazioni, cordate e centri di affari, il “grosso” dell’establishment (media compresi), con i seguiti dei “serviti” (in qualche misura), di tifosi (ossia “gente di partito”) e di manipolati a scambiare il peggioramento per «cambiamento» valido, fattivo, positivo.

Al di là dei “colori” delle forze politiche contrapposte – che certo valgono per l’uso che queste forze faranno degli esiti, e che pur hanno inciso, e incidono: “colori” per cui «a ogni modo il Pd è di sinistra» e «bisogna stare attenti» perché nel «fronte del no c’è tanta destra», arrivando fino al demenziale «non voto con Salvini», ma anche, sul lato opposto, all’altrettanto demenziale «non voto con l’Anpi» –, obiettivamente il 40% dei ha posto in piena evidenza: a) la volontà dei dominanti – non per niente sostenuti dall’Ue-Merkel, da Obama, da gran parte dei grandi media esteri, dalle minacce di tregenda economica se avesse vinto il no – di assicurarsi la perpetuazione del “sistema” in cui e per cui hanno la posizione di dominio, questo “sistema” pernicioso che ha tanto danneggiato tutto il mondo, e, nello specifico, il nostro paese; b) le loro grosse capacità non solo di influenzare, controllare e manipolare, ma anche di farsi seguire da un’ancora rilevante massa della popolazione.

Come mai hanno comunque perso? Perché questo disegno di “irrigidimento” della gestione del potere per mantenere lo «stato di cose presente» si situa nel rovesciamento in corso, provocato appunto dal “sistema” nel complesso dell’Occidente, di quella che ancora dagli anni ottanta era la «società dei due terzi»: dai due terzi di “serviti”, pur in modo stratificato, e un terzo, anch’esso stratificato, di “peggio serviti”, “mal serviti”, “piú emarginati”, esclusi, si sta passando all’un terzo di “serviti” e due terzi di strati “peggio serviti”, “mal serviti”, “piú emarginati”, esclusi – i quali, se messi in condizione di potersi esprimere, lo fanno.

La fase attuale del “sistema” (che è sempre il modo di produzione dell’economia politica, il capitalismo con i suoi Stati), fasciata dal termine suadente di “globalizzazione” – con la devastante guerra economica condotta a livello mondiale e con l’intrecciato seguito distruttivo di guerre guerreggiate che l’hanno intriso e l’intridono – è entrata in crisi e stagnazione irreversibili dal 2007-08, e non ne può uscire mantenendo il suo presente assetto con la sola applicazione correttiva di qualche “pezza”: la sua perpetuazione è la perpetuazione a tutti i costi dell’attuale Nouveau Ancien Régime – è la reazione. E la sua messa sotto attacco sale da varie parti e in molti paesi in Occidente, e, nei fatti, anche il referendum del 4 dicembre in Italia si colloca in tale contesto. Dunque, le forze e lo schieramento del rappresentano la volontà di “stringere i ranghi” a sostegno del vigente, pur in crisi e proprio perché in crisi, Nouveau Ancien Régime: è lo schieramento della reazione, che si estende ovunque nel paese e ha i suoi “luoghi forti” – la sua Vandea – nelle aree indicate. E uno dei suoi centri è anche Firenze (basti, infatti, pensare che è stato eletto sindaco Dario Nardella, che non ci si solleva contro le devastanti tramvie, che non si insorge contro il disastro annunciato e in atto del tunnel Tav, né contro altro, molto altro, ancora).

Da piú parti si levano i lamenti: «il paese è spaccato». Ma è inevitabile! È sufficiente confrontare ai i dati disaggregati dei no nel referendum (mettendo da parte gli “sfrangiamenti” nel voto, dovuti o a valutazioni sensate da parte di coloro che hanno votato no pur potendo collocarsi nel, o ad appartenenze partitiche, credenze ideologiche e manipolazioni mediatiche da parte di coloro che hanno votato pur situandosi nel no): periferie, centri minori, spazi agricoli; lavoratori, disoccupati, sottoccupati, inoccupati, casalinghe; giovani che intanto studiano e poi trovano una collocazione indecente o non la trovano affatto; anziani ridotti in miseria o che devono “stringere la cinghia” (e aiutare i piú giovani); quelli che comunque svolgono la loro attività senza sfruttare od opprimere nessuno (e neanche lo vogliono fare), e senza legarsi a cordate, ma sono sempre piú schiacciati; tanti colpiti dalla distruzione del tessuto sociale e civile, dei “modi d’essere” conquistati e assestati; e tutto in crescendo dal Nord al Sud del paese e confermato (dati ufficiali) dai 4,6 milioni di «poveri assoluti» e dal 30% circa della popolazione «a rischio povertà» (e poi da tutti coloro che “se la cavano” piú o meno a stento, e minacciati). Insomma, il popolo – la popolazione avviata ai «due terzi», le classi subalterne – con il no si è levato contro l’oligarchia interna-esterna, i suoi esponenti e i suoi sostenitori, e ha cozzato anche contro i loro seguiti. Lo ha fatto in maniera non del tutto consapevole e, al presente, senza vere prospettive di oltrepassamento, ma lo ha fatto. Questa è la vera sostanza di quanto è emerso con il no al referendum  e pone anche problemi specifici sul “che fare” rispetto ai seguiti popolari dei manipolati del (riguardo a quelli direttamente connessi all’oligarchia è inutile), in generale e in particolare nelle aree di loro maggiore consistenza.

Riuscirà Renzi e/o chi con o per lui, riusciranno il Pd  dove, peraltro, non pare si possa contare granché sulla ben poco, diciamo cosí, convincente cosiddetta “sinistra” interna – e i suoi (sconci) alleati, a servirsi del 40% dei per continuare nell’“andazzo”? E riusciranno anche “pezzi” del “fronte del no” (ora dissolto) come Forza Italia (che già diceva piuttosto «ni» nel referendum e ora lo dice rispetto allo “schiferno” Gentirenzi – e certo! C’è anche la questione Mediaset-Vivendi, e non è utile che il governo in carica sia proprio nemico …) a servirsi di comparti che pur hanno votato no, sempre per continuare nell’“andazzo”? È totalmente certo che, come già stanno facendo, cosí faranno, e di tutto, a questo scopo.

E però … c’è il fatto che non tengono conto – né lo possono, essendo pro oligarchia interna-esterna – dell’ostilità profonda del no, compresi i no di referenza a Forza Italia, determinata dal rovesciamento in corso della «società dei due terzi». E chi si fa forte del 40% dei si illude sulla consistenza di tale “quota” percentuale: non solo non è per niente stabile, ma tenderà anche a disperdersi – come si è già visto nelle elezioni amministrative di giugno rispetto a quelle europee. Di piú: i tentativi di mandare avanti le “cose” sulle linee in corso diffonderanno ancora di piú nel paese e nella popolazione il discredito, logoreranno ogni credibilità, aumenteranno ulteriormente l’ostilità.

E c’è un altro però … ossia l’illusione della permanenza dei supporti “forti”: l’oligarchia dominante vuole mantenersi, ma certamente non immolarsi sugli, e con gli, esponenti e forze che adesso la sostengono, per cui lascerà che questi tentativi procedano, vedendo quanto, come e se “funzionano” e comunque usufruendo di quello che possono fare e per il tempo che possono durare, tuttavia senza appiattirsi su questi stessi  una spia la si può già individuare nei grandi media, che hanno mutato bruscamente attitudine in confronto al rispetto, considerazione e privilegi adottati prima del 4 dicembre verso Renzi e sostenitori, dando, subito dopo, ampio e crescente spazio alla critica e all’opposizione. E, se questi esponenti e le loro forze si “bruciano”, l’oligarchia dominante li lascerà “bruciare”, alla ricerca di una qualche soluzione che in qualche altro modo possa fornire a essa una qualche, pur diversa, tutela.

Qui si situa il presente gioco politico, che si svolge di nascosto, ma che è, e sarà, sostanziale, e piuttosto complesso. Tuttavia, può solo rallentare, ma non impedire la tendenza alla rivolta da parte del rovesciamento in corso della «società dei due terzi». Pur tramite vicende sicuramente travagliate, è già posto l’ulteriore sbattere della reazione contro l’ondata popolare montante, ed è su questo terreno si deve cercare di mettere in luce ulteriori tentativi sempre volti (pur mascherati) a supportare l’oligarchia interna-esterna, e vedere di elaborare e fornire risposte concrete e prospettive agibili (en passant: si dovrà anche farla finita di ciarlare di “populismo”, termine mistificato come demagogia, retrività, fascismo da mistificatori eruditi, ripetuto da politici, televendoli e pennivendoli, e spappagallato da manipolati ignoranti).

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