Il pasticcio è (quasi) servito

di Rino Genovese

PasticcioCome volevasi dimostrare. Il progetto di legge elettorale, che potremmo chiamare il renzarellum, era un pessimo progetto prima e lo è ancora di più oggi quando, tra molte difficoltà, sembrerebbe realizzarsi. Ciò che non va lo abbiamo detto subito: per noi, pervicacemente proporzionalisti, l’idea di soglie di sbarramento altissime, di premi di maggioranza e, soprattutto, di spareggi di tipo calcistico (che confermerebbero, quindi, la deriva plebiscitaria della politica italiana degli ultimi vent’anni) è qualcosa che dà i brividi – ma la questione, nel frattempo, è diventata un’altra, e da questa si deve ripartire con l’analisi.

In sostanza, il renzarellum è stato utile per preparare la messa in congedo di Letta, per indebolirlo con un accordo che, stretto da Renzi in primis con Berlusconi, ne travalicava la maggioranza di governo con i dissidenti berlusconiani. Una volta arrivato alla presidenza del consiglio, il rottamatore – che in verità di nulla si preoccupa se non del suo piccolo disegno di potere – ha tutto l’interesse a prendere tempo, a tirarla per le lunghe. È diventato lui Letta. E appaiono un po’ sciocchi quei renziani “doc” che non si rendono conto che un sistema elettorale unicamente per la Camera, in attesa che il Senato sia abolito, è proprio ciò che fa comodo al loro leader per poter restare al governo il più possibile, rinviando le elezioni e provando a consolidare, con la propaganda più che con i fatti, la sua immagine.

Sorprende invece, ancora una volta, l’atteggiamento della minoranza Pd (il compagno Alfredo D’Attorre, bersaniano, è stato il primo sostenitore dell’emendamento che ha disgiunto il destino della legge elettorale per la Camera da quella per il Senato, che resta così quella uscita dall’intervento della Corte costituzionale). Perché infilarsi, infatti, in un simile pasticcio? Già avere dato disco verde all’operazione “cacciata di Letta”, magari con l’intenzione d’incastrare Renzi, è un esempio di miopia. Che cosa mai potrà venirne fuori? O il disegno di potere del rottamatore si consolida – e dunque addio “sinistra Pd” e, forse, Pd tout court – o, al contrario, l’astro di Renzi declina e, con lui, anche la speranza di vincere le prossime elezioni e di condizionarlo… Se una sinistra Pd ci fosse (cioè se non si riducesse ai pochi sostenitori di Civati) avrebbe dovuto spingere per le elezioni anticipate in tempi ragionevoli e certi, per una messa alla prova del renzismo e delle sue possibilità di vittoria, tenendo in piedi nel frattempo il governo Letta. In quest’ottica il progetto di legge elettorale, semplice e snello, sarebbe stato quello di un ritorno al mattarellum, privo di qualsivoglia controindicazione al Senato, che, con l’introduzione di alcune modifiche, avrebbe anche consentito la governabilità. Far pesare la “minaccia” di elezioni anticipate, avrebbe implicato una politica di movimento in tutti i sensi. Invece nulla: ecco renziani e antirenziani finiti insieme in un’impasse senza precedenti. Evidentemente più preoccupata di perdere la prevalenza che oggi ha nei gruppi parlamentari che delle sorti della sinistra e del paese, la minoranza Pd ha finito con l’avvitarsi nello strano machiavello che è il renzarellum, scegliendo d’incastrare Renzi anziché tentare di condizionarlo secondo una linea di cambiamento.

Disgraziatamente, però, Renzi nella parte dell’incastrato ci sta benissimo. Incastrarsi, tra un pezzetto di potere e l’altro, è infatti la vera attitudine del neocentrista tardodemocristiano con venature berlusconiane. Se non si comprende questo, tanto vale chiudere bottega: cosa che probabilmente faranno, se non l’hanno già fatta, gli esponenti della minoranza Pd.

Infine una considerazione a margine circa la discussa regola della parità di genere nelle liste elettorali, che segnerebbe l’ora di un importante progresso. Qua non ci sarebbe da reclamare la violazione di alcun’insulsa meritocrazia. Si deve piuttosto partire dalla constatazione che le donne sono fortemente penalizzate nella vita sociale del paese, e lo sono sotto tutti gli aspetti. L’introduzione della parità di genere in parlamento sarebbe un segnale con una notevole carica simbolica. Per affrontare questo nodo, non c’è altro strumento utile se non una politica delle quote. Stabilendo un paragone nient’affatto peregrino, come la progressività nell’imposizione fiscale (spesso e volentieri negletta, nonostante la nostra Costituzione la prescriva espressamente) è una forma di “diseguaglianza” – chi ha di più paga più di chi ha di meno – atta a introdurre un’eguaglianza attraverso la ridistribuzione del reddito, allo stesso modo una politica delle quote a favore di gruppi sociali svantaggiati è ciò che consente di tener fermo a un principio di eguaglianza nella distribuzione delle chances. Ciò che oggi deve valere per le donne – un criterio elementare di riequilibrio –, dovrà essere fatto valere in un prossimo futuro anche per gli immigrati e i loro figli.

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