Quel che resta della scuola italiana

scuola italianadi Angelo Tonnellato

Non mi sarei mai permesso in altri tempi di esprimere un’opinione su problemi della scuola italiana a causa di una competenza che non mi riconosco. Leggendo però e ascoltando quel che la ministra pro tempore (speriamo breve), il presidente del Consiglio e altri esponenti della strana maggioranza dicono e disdicono, mi rendo conto che non solo ce n’è di assai più incompetenti di me, ma che sovrabbondano – e in posizioni politico-istituzionali di rilievo – quelli che Benedetto Croce definirebbe senz’altro «farnetici dissertanti».

La scuola italiana è allo stremo da decenni. Dopo quarant’anni di malgoverno clerico-democristiano di quella che non a caso Luigi Russo chiamava «Minerva oscura» – il famigerato ministerone trasteverino – tutti pensavamo che essendo stata ridotta la scuola in macerie non si potesse che ricostruirla. E invece ci sbagliavamo. Nell’ultimo quarto di secolo si è lavorato a sbriciolare ulteriormente quelle macerie; e magari anche a pisciarci sopra.

L’ultimo atto provvisorio di questo smaltimento urinario dei calcinacci è quello realizzato dalla ministra Azzolina con l’indizione e convocazione di un mega-concorso ferragostano, per il quale si sono pubblicati decreti, bandi, grida e illuse e deluse decine di migliaia di precari, molti dei quali, incautamente fidandosi della sedicente istituzione presieduta dalla prelodata, si sono nel frattempo iscritti a corsi, hanno ordinato libri, ingaggiato badanti e baby-sitter per riuscire a ritagliarsi almeno qualche settimana da dedicare alla preparazione tra la fine di un anno scolastico che, comunque lo si voglia giudicare, è riuscito a essere “qualcosa” grazie a loro e l’inizio del prossimo che non si sa ancora se inizierà e con quali celesti protezioni potrà mai essere meno larvale di quello ancora precariamente in corso.

A parte i pacchi di circolari e istruzioni – piovuti dalla “Minerva oscura” in cui la ministra si è data in ostaggio ai burocrati per l’evidente senso di inferiorità che prova verso di loro e un non troppo larvato desiderio di compiacerli – il governo della scuola in tempo di Covid-19 si può riassumere in due sole paroline: inesistente inconsistenza.

Sono stati comprati in insufficiente quantità beni strumentali elettronici, è vero. Spendere soldi è del resto pur sempre la cosa più facile. Il 30% degli scolari è rimasto “scollegato”. I ragazzi e le ragazze con disabilità, problemi e ritardi cognitivi sono stati istituzionalmente abbandonati a se stessi, fatta salva la piccola fascia volenterosamente e volontariamente in qualche modo raggiunta e tenuta in un qualche contatto proprio dagli insegnanti. Soprattutto da quelli precari. Non parliamo poi dei bimbi e ragazzi di madrelingua terza che, privi di supporti elettronici e di competenze familiari, sono sprofondati in una spirale regressiva da cui difficilmente riemergeranno. Salvo i casi in cui i soliti “ignoti” siano riusciti a prendersene qualche cura. E non parliamo, altresì, del “di tutto di più” che è stato scaricato sulle donne. Il corpo docente è costituito in massima parte da donne che sono anche madri. Questa in soldoni la polarità “emittente” scolastica. Costituito in alta percentuale da insegnanti precarie. L’emittente “ricevente” o giù di lì è altrettanto prevalentemente se non esclusivamente femminile. In mezzo le precarie che “emettono” per i figli altrui e “ricevono” per i propri. Dannate al pc o tablet.

Evidentemente all’insaputa della ministra Azzolina che, in base all’ultimo (provvisoriamente) twitter o altro tipico suo sproloquio, si è detta contentissima che il suo quizzone sia stato in extremis surrogato da una “prova scritta”, che a suo dire è ancora più “meritocratica” del quizzone.

Ora, non voglio girare troppo intorno al nocciolo del problema e infierire contro la ministra, il M5S, il Pd e quant’altri. E, da ultrasessantenne che non ha parenti o affini fino al 24.mo grado di parentela nel precariato scolastico, chiedere a quel che resta (poco, quasi niente) dell’intelligenza delle cose di M5S, Pd, Leu e altri se si rendano conto di quel che stanno facendo. Cioè del fatto che un “sistema” – ultima, sempre provvisoriamente, beninteso, incarnazione di ciò che Francesco Saverio Nitti chiamava «lo Stato camorrista» – affida per anni l’istruzione, e quindi la loro e nostra futura libertà, dei suoi bimbi e ragazzi, a migliaia di donne e uomini che accettano di tutto (incarichi di pochi giorni, di un anno scolastico, di alcuni mesi) facendo funzionare quel che resta della nostra scuola e prendendosi cura dei meno fortunati o più sfortunati in totale assenza di psicologi e medici scolastici, e poi dice loro: «non siete abilitati, dovete sottoporvi a una prova meritocratica». Ma abilitati a che? E da chi? Dalla demenza giovanile dei Cinquestelle e da quella senile del Pd? La Costituzione obbliga ai concorsi. Certamente. E come mai nonostante questo obbligo la scuola è da quarant’anni il luogo disperato del precariato? Ed è la domanda che farei, anzi faccio, al Pd. E ai 5S che potrebbero legittimamente eccepire di non essere responsabili del disastro passato potrei far osservare, se avessi una minima fiducia nella loro intelligenza, che un governo pro tempore assume sempre su di sé anche i risultati di ciò a cui non ha cooperato.

E agli uni e agli altri farei una terza domanda: se mille o diecimila precari che insegnano da un minimo di tre anni scolastici a un massimo di non sa quanti dovessero essere bocciati all’indegno circo pseudo-concorsuale che state mettendo in piedi che farete? Annullerete tutti i titoli di studio conseguiti dai nostri studenti con insegnanti che non erano abilitati al tempo e di cui voi certificherete eventualmente l’inabilità anche retrospettiva?

Capisco che essere seri in un paese ad alto tasso di buffoneria è difficile; ma con un po’ d’impegno potete riuscirci anche voi. E quindi assumete i precari che hanno insegnato per almeno tre anni scolastici e chiudete questa faccenda penosa e pagliaccia. Del resto avete abolito l’esame di Stato per l’abilitazione all’esercizio della professione medica e non abilitate gli insegnanti precari che hanno permesso a quel che resta della scuola italiana di sopravvivere? Nella loro incoscienza la ministra Azzolina e i suoi compagni di partito possono anche ignorarlo; ma l’esame di abilitazione alla professione medica è l’equivalente di un concorso.

Pessima parola la “sanatoria” o l’ope legis. Ma è lo Stato italiano che si è ficcato in queste distrette e nessuno – maggioranza, opposizione e chi sta un po’ di qua e un po’ di là – può chiamarsene fuori. Il concorso ferragostano – a parte le difficoltà logistiche e la quasi certezza che non potrà essere esperito – lascerà tra le macerie i veleni di migliaia di ricorsi che quasi certamente impediranno l’avvio del prossimo anno scolastico.

Assumete questi trentaduemila, magari mandando loro anche due righe di ringraziamento per quello che hanno fatto e dicendo che non li abilitate per compassione ma perché si sono abilitati sul campo. Riguardo alla sacrosanta passione pentastellata per i concorsi e la meritocrazia nulla vieta di chiudere la vicenda dei precari “storici” e contemporaneamente scrivere in Costituzione che la scuola è un bene primario e che il precariato vi è vietato.

Altrimenti vuol dire che quello in cui precariamente viviamo è uno Stato camorrista.

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