Il nuovo (?) Pd di Enrico Letta

Enrico Letta

di Marcello Rossi

Nel Pd è tornato Letta, il secondo salvatore della patria, dopo Draghi. Dopo ben quarantotto ore di ripensamento ha sciolto la riserva, cosa che, dal suo punto di vista, è più che comprensibile: è la rivalsa su quel “stai sereno” di renziana memoria. Dal punto di vista politico è però la conferma che il Pd, che lo ha acclamato all’unanimità (salvo poche e insignificanti opposizioni), poco ha da spartire con la sinistra: è un partito di centro – la Democrazia cristiana del XXI secolo – ed è naturale che scelga a segretario un uomo di centro – allievo di Andreatta – che, come accadeva nella Democrazia cristiana, sia capace di trovare un accordo – un compromesso – tra le varie correnti che, anch’esse, nulla hanno da spartire con la sinistra. E tuttavia ancora oggi, dopo l’Ulivo, dopo il Pds, dopo i Ds – tutte esperienze che non sono state capaci di dare un’identità chiara alla sedicente sinistra – c’è ancora chi crede che il Pd sia un partito di centrosinistra e non si rende conto della grande mistificazione che questo partito rappresenta. Se n’è accorto Zingaretti che di fronte all’impossibilità di riformare il partito ha gettato la spugna. Il Gorbaciov del Pd, ho già scritto anni or sono, quando le primarie lo portarono a dirigere il partito.

Come accadeva nell’Ulivo di Prodi, anche questo Pd di Letta riterrà che la via da battere sia quella di un ulteriore spostamento al centro, inverando la teoria che nelle democrazie avanzate è il centro che regola la vita politica, e per governare è al centro che si devono rivolgere tutte le attenzioni.

Non so quanto questa teoria valga per l’Italia, ma non la prenderei alla lettera perché in Italia ciò che politicamente non esiste è proprio il centro. Il centro infatti dovrebbe essere quella categoria politica in cui si ritrovano tutti coloro che intendono inverare una democrazia borghese aperta alle idee di un razionalismo sociale ed economico (non a caso l’economista di riferimento è Keynes, che – occorre ricordarlo – non era un socialista ma un liberale). Il centro, almeno in teoria, dovrebbe tendere alla progettazione di un’integrazione di tutta l’Europa; a una produzione, distribuzione e consumo razionali; a mezzi di trasporto sempre migliori; alla progettazione di strategie finanziarie e tecnologiche per intervenire sulle crisi alimentari, demografiche, climatiche ed energetiche; all’integrazione nella società delle donne, delle minoranze e dei disabili; alla tolleranza religiosa e razziale; a una filosofia sociale che attenui le manchevolezze dell’economia di mercato; alla qualità della vita al posto del consumo, della produzione e dell’espansione (in definitiva un capitalismo dal volto umano); all’educazione; alla salute.

Il centro dunque dovrebbe essere quel liberalismo, che spesso vien denominato “società civile”, colto e razionale, e di conseguenza laico, che ha fede nel progresso in quanto espressione della creatività dello spirito. Il suo maestro è Hegel.

Non sto qui a riproporre le critiche di Marx a Hegel, ma un partito che pretende di essere di centrosinistra dovrebbe pur prenderle in considerazione perché altrimenti “sinistra” è solo un orpello inutile e il partito è di fatto un partito liberal, un partito all’americana che è attento agli interessi delle varie lobbies che lo compongono.

Ma la cosa più evidente – torno a ripetere – è che in Italia questo centro non esiste e dubito che sia presente anche in Europa. Da noi il centro deriva dallo sfascio – dovuto alla magistratura e non alla dialettica politica – della Democrazia cristiana, un partito clericale che non ha mai fatto del razionalismo la sua bandiera, ma che sempre ha gestito il potere con il compromesso, il bigottismo, e da ultimo il malaffare. E non è un caso che questo centro democristiano, nella disfatta del partito, sia passato armi e bagagli in Forza Italia, appoggiando in tutto e per tutto i governi piduisti di Berlusconi. Con questo “centro” Letta come ricostruirà un partito nuovo? Forse il partito che ha in mente e che, secondo me, ripropone la costituzione di un nuovo Ulivo, presuppone lo scioglimento del Pd.

Io gli faccio gli auguri perché la realizzazione chiara e inequivoca di un partito di centro dovrebbe finalmente far comprendere ai cittadini che una cosa è il centro, altra cosa la sinistra. E per essere chiaro fino in fondo, propongo di abbandonare il termine “sinistra”, troppo spesso fuorviante, e sostituirlo con “socialismo” – un socialismo a venire nelle sue varie declinazioni (socialismo libertario, comunismo critico, anarchismo) perché – come ho scritto altra volta – la sinistra o è socialista o non è.

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