De profundis

teofrastodi Massimo Jasonni

La parola nell’orizzonte culturale originario fu lógos, riproduzione della realtà entro di sé già esplicativa di un più vasto, e ben articolato, ordine fisico delle cose. Nella fase omerica, essa era stata mýthos: evocazione sacrale dell’eterna circolarità delle vicende non solo umane, ma più in generale biologiche. Il pensiero occidentale si dispose così, tra la poesia del mito e le ragioni della filosofia, alla volta di un dialogo tra gli uomini di per sé custode della superiore dimensione dell’Essere.

La parola era nata chiara e forte: coltivava in sé un significato domestico, ma non privato di sue proprie, e quanto fervide, polivalenze. La chiarezza veniva da un collegamento esplicito con i fenomeni naturali; la forza le avrebbe permesso di innervarsi nell’idea presocratica del nesso ineludibile che deve correre tra pensiero e mondo.

Per definire meglio questo motivo della certezza nella domesticità valgano due esempi, tra tante altre voci cui si potrebbe ricorrere nell’esame del vocabolario greco: óikos, da intendersi quale confine nazionale o, se si preferisce, barriera rappresentata dall’identità talora familiare, talora etico-politica1, ma anche come recinto dei polli. Il confine non avrebbe mai perso quel significato primigenio, pratico e ideale, semplice e complesso a un tempo. Analogamente charaktēr, che Giorgio Pasquali, in prefazione a Teofrasto, ci ricorda essere «conio», «punzone d’impronta» o «marchio», prima che carattere, natura e temperamento di un uomo2. Di questa orgogliosa genealogia dei nomi avrebbe disquisito il Socrate platonico nel Cratilo, sostenendo la naturalità e l’oggettività, non già, come i sofisti pretendevano, la convenzionalità del lógos3.

Agostino fu tanto platonico da giungere all’estremo, addirittura prefigurando la parola come parola di Dio, quale si sarebbe poi scolpita sul marmo delle liturgie cristiane. Ci si apriva così a una teologia dogmatica, si obnubilava il momento naturalistico/dialettico costitutivo della spiritualità classica.

Quello che ora è scomparso – scomparsa indotta dall’imponente fenomeno di deellenizzazione che connota il postmoderno – è proprio questo senso indefettibile delle parole e delle formule linguistiche. Venuta meno è la riconduzione dei termini o delle espressioni, che usiamo o apprendiamo e con cui comunichiamo, a un ordine stabile, obiettivo dei valori. La parola non conosce più quella verità che nell’esperienza ellenica costituiva il frutto di un disvelamento4. La natura ama nascondersi, ma a chi abbia occhi vigili e orecchie aperte, fa doni.

Gli effetti di tale scomparsa sono devastanti nell’ambito dei rapporti interpersonali, giacché, se la parola non rassicura più e non fornisce più un indice di verità, l’esito che ne viene è quello di un’angosciata instabilità psicologica. Ma non solo, perché radicali incertezze emergono anche sul terreno della comprensione etico-politica dei fenomeni.

Facciamo due esempi tratti dall’attualità politica dei giorni nostri: il “contratto” tra Lega e M5S e il “governo del presidente”.

Del “governo del presidente” ha parlato Marcello Rossi in Questa nostra Repubblica5. Rossi chiarisce che il presidente della Repubblica nel sistema ordinamentale di casa nostra è il garante della continuità costituzionale e il controllore del rispetto, da parte del governo, dell’indirizzo programmatico di cui la Carta fornisce sovrano lume. A supporto Rossi cita un articolo di Piero Calamandrei del 19566, in cui il grande padre costituente spiega la differenza che corre tra una repubblica presidenziale e una repubblica parlamentare e chiarisce come il governo, nel rispetto del dettato costituzionale, debba essere espressione della volontà popolare, non già del presidente.

Viceversa, non vi è ora fonte giornalistica, progressista o conservatrice, né vi è trasmissione televisiva che non plauda a un intervento del presidente risolutivo della stasi postelettorale e non auspichi l’ipotesi di un governo, nato finalmente per impulso del presidente. Mentre Calamandrei pensava alla nostra Costituzione come fondamento della futura storia del paese, e ciò in termini di «vero e proprio programma di trasformazione sociale della società, i cui capisaldi sono quelli del diritto al lavoro, dell’effettiva partecipazione dei lavoratori al governo, del diritto al salario», oggi si assiste a un canto all’unisono, dal «Corriere della sera» a «la Repubblica», dal Tg1 al Tg3 e al Tg7, a sostegno di quanto rappresenterebbe, in realtà, tradimento degli obiettivi di una repubblica parlamentare.

La formula verbale in discorso è specchio, dunque, di una mistificazione che si allinea all’adesione, vergognosamente incondizionata, agli indirizzi internazionali delle potenze straniere che soffiano sul vento della partecipazione a un’Europa dei finanzieri e dei banchieri7, non certo all’Europa dei popoli che Altiero Spinelli aveva configurato a Ventotene.

Analoga riflessione vale oggi quanto al termine “contratto” tra la Di Maio & Co. e la Salvini & Co., che potrebbe concludersi nell’auspicatissima, più o meno da tutti, formazione di un governo. Pure qui il plauso dei media è corale, non conosce distinzione ideologica o culturale. Fu la Merkel a utilizzare la parola contratto, senza alcun ritegno, per giustificare l’accordo con Spd. Anche Macron è grande fautore del contratto, in Italia, tra M5S e leghe. Avrebbe preferito un contratto tra Berlusconi e Renzi, ma bisogna pure far finta di rispettare la volontà popolare. In ogni caso il francese benedice l’intervento presidenziale a favore di un governo allineato all’Europa8.

Al di là dell’ossequio alla signora Merkel e al signor Macron, che forse meriterebbe maggiore cautela, non è male riflettere sul significato della parola contratto. Nella tradizione occidentale – romanistica, del diritto comune e poi moderna – il contratto è negozio giuridico in cui si estrinseca una volontà privata, tendente a uno scopo pratico protetto dall’ordinamento e connotato da un fine di ordine patrimoniale9. È allora palese che quel nome non può valere per un accordo politico, ma solo nell’ottica dell’esplicazione di interessi di stretta logica mercantile. La nascita di un governo e, più in genere, gli accordi di natura politica non possono essere né considerati, né definiti in tal modo. Quali che siano i partiti delegati al difficile tentativo di andare a un governo stabile per il paese, il compromesso tra le forze in gioco rientra nella legalità costituzionale solo se si presenta, si sviluppa e si attua in un incontro etico-politico, non contrattuale, su cui il presidente della Repubblica interviene a garanzia del rispetto dell’allineamento al programma costituzionale.

Niente di nuovo passa il convento della storia, se si pensa all’uso che la Chiesa cattolica fece, per il matrimonio, del binomio sacramento/contratto in età di Controriforma, poi nella codificazione pio-benedettina del 1917. L’affermazione della natura sacramentale dell’accordo tra i coniugi alimentò gli strali di Lutero e, con essi, lo scisma protestante; il parallelo ricorso alla voce contratto, come vera e propria categoria giuridica, risultò, con il Concilio Vaticano II, incongruo. Infatti, nel matrimonio la volontà dei nubendi, per risalente tradizione teologica e canonistica, si esprime all’unisono, la natura dell’istituto è pubblicistica10, manca la connotazione patrimonialistica tipica del contratto.

De profundis: a memoria di quanto la parola seppe originariamente rappresentare per assumere distanza dalla fraudolenza e dal falso.

1 M. Morani, Il fratello, la casa, il villaggio. Sull’etimologia di PHRATER in greco, in «Aevum: rassegna di scienze storiche, linguistiche e filosofiche», fasc. 1, gennaio-aprile 1995, pp. 3-6.

2 G. Pasquali, «Prefazione» a Teofrasto, I caratteri, Milano, Rizzoli, 1979, p. VII ss.

3 Si veda «Non porta bene contraddire Esiodo», in M. Jasonni, Kéramos. Scritti per Il Ponte, Firenze, Il Ponte Editore, 2016, p. 277 ss.

4Cfr., fondamentalmente, M. Heidegger, Linguaggio tramandato e linguaggio tecnico, Pisa, Ets, 1997, p. 21 (conferenza del 19.07.1962 a Comburg).

6 Anch’esso in https://www.ilponterivista.com/blog/2018/05/14/questa-nostra-repubblica/ cit.. In origine l’articolo di Calamandrei fu pubblicato su «Il Ponte», n. 10, ottobre 1956.

7 P. Pelfer, Macron 2.0: una internazionale liberista per l’Europa, in www.ilponterivista.com, 22 maggio 2018 (https://www.ilponterivista.com/blog/2018/05/22/macron-2-0-una-internazionale-liberista-per-leuropa/#more-2872).

8 Ibidem.

9 G. Caputo, Introduzione allo studio del Diritto canonico moderno. II. Il matrimonio e le sessualità diverse: tra istituzione e trasgressione, Padova, Cedam, 1984, p. 101 ss.

10 In tal senso P. Fedele, Lo spirito del diritto canonico, Padova, Cedam, 1961, p. 821.

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