28 Giugno 2017
pubblicato da Il Ponte

Un’altra Europa

Numero 5-6 maggio-giugno 2017 Prezzo € 20.00

Un'altra EuropaMai come oggi, dalla fine della Seconda guerra mondiale, sono stati così forti in Europa le rivalità tribali e i sentimenti nazionalisti e xenofobi. E questo va annoverato come uno dei successi dell’Unione europea. Non parliamo poi della risorta vocazione guerrafondaia che ha portato l’Ue ad alimentare i conflitti in Libia, in Siria e in Ucraina e prima ancora, quando l’Unione era in preparazione, a favorire l’esplosione di devastanti guerre civili nella ex Jugoslavia.

Un’altra serie di successi ha investito la sfera economico-sociale, con l’aumento della disoccupazione, della povertà, della disuguaglianza; il degrado delle condizioni di lavoro, la riduzione dei diritti dei lavoratori, l’aumento del precariato, la proletarizzazione dei ceti medi; il decadimento della sanità, della scuola, della previdenza; l’aumento dell’incertezza finanziaria con la messa a rischio dei risparmi delle famiglie per opera di un settore bancario sempre più vocato alla profittabilità predatoria.

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1 Agosto 2007
pubblicato da Il Ponte

Democrazia radicale

Numero 8 agosto-settembre 2007 Prezzo € 15.00

Democrazia radicaleA cura di Nicolò Bellanca ed Ernesto Screpanti.

«In giro per il pianeta, i concetti e i percorsi di costruzione della democrazia sono soggetti a una rinnovata contestazione. In Iraq, Fallujah viene bombardata in nome di una rapida democratizzazione di quel paese; in Nepal, i manifestanti scendono nelle strade reclamando democrazia; in Indonesia, in Ucraina e negli Stati Uniti elettori e osservatori sono immersi in dibattiti intorno al funzionamento della democrazia elettorale; a Cancun, e in altri forum globali, le piazze sono occupate da persone che pretendono piú democrazia nei processi globali; nei villaggi di periferia, gruppi spontanei si battono per allargare gli spazi della democrazia locale. La democrazia appare insomma, allo stesso tempo, come il linguaggio del potere militare, delle forze mercantili neoliberali, dei partiti politici, dei movimenti sociali e delle organizzazioni non governative. Cosa sta succedendo?». «Il Ponte» ha deciso di dedicare un fascicolo monografico al tentativo di fornire alcuni elementi di risposta.

Il taglio prescelto non insegue gli avvenimenti dell’attualità. Si propone piuttosto di elaborare e discutere alcune riflessioni costruttive sulle possibilità di democratizzare la democrazia, ovvero di renderla piú radicale/effettiva nei propri contenuti. Presentiamo al riguardo la traduzione di due importanti contributi poco o per nulla noti al lettore italiano e un articolo di Ernesto Screpanti. Seguono cinque articoli che in prevalenza dialogano coi tre testi iniziali e una breve replica di Screpanti.
In una simile occasione, la rivista ha dovuto un poco modificare i propri standard usuali: la lunghezza media dei pezzi è maggiore, le note e le bibliografie sono piú fitte, l’esposizione si muove su un terreno che è in buona misura teorico. Ci siamo nondimeno impegnati a preservare la vivacità divulgativa e il desiderio di comunicare con un pubblico ampio, che sempre hanno caratterizzato questa rivista. Speriamo di esserci riusciti.

Scritti di: Nicolò Bellanca, Joshua Cohen, Filippo Del Lucchese, Archon Fung, John P. McCormick, Andrea Noferini, Nicolás Patrici, Stefano Petrucciani, Ernesto Screpanti.

1 Agosto 2006
pubblicato da Il Ponte

Marxismo oggi

Numero 8 agosto-settembre 2006 Prezzo € 15.00

MarxismoSiamo lieti di ospitare gli atti del convegno su Marx organizzato da Bruno Jossa e Giorgio Lunghini. Nella nostra riflessione – redattori e collaboratori tutti – Marx rimane un riferimento insostituibile. Una volta Joan Robinson ebbe a osservare: «Come riconosco i marxisti? Semplice, sono quelli che si ripromettono di risolvere il problema della trasformazione da qui a lunedí». Questa battuta coglie uno snodo importante. Lo studio era per Marx funzionale alla trasformazione della realtà sociale. Rendergli giustizia, come sottolineano i curatori nella loro «Presentazione», significa misurarsi con un sistema di pensiero partigiano, militante, schierato dalla parte di determinati valori e obiettivi, impegnato a comprendere i percorsi effettuali lungo cui essi potrebbero essere avvicinati. Fuori da ciò rimane soltanto il Marx “classico tra i classici”, del quale esibire ogni tanto una citazione erudita.

Prendendo sul serio la Robinson, ma senza la pretesa di illustrare tesi condivise dall’intera rivista, proviamo a movimentare la lettura dei saggi che seguono, enunciando, in poche battute provocatorie e apodittiche, ciò che è vivo e ciò che è morto in Marx. In primo luogo, sono vivissimi alcuni insegnamenti della concezione materialistica della storia. Essi non consistono nell’idea di una Sovrastruttura politico-ideologica plasmata da una Struttura economica, bensí nella proposizione che – per capire se una società può venire qui e adesso trasformata – occorre guardare al rapporto tra il Soldato e il Mercante. Quando Soldato e Mercante sono alleati, il Politico e l’Intellettuale possono poco. Solamente quando la Spada e il Denaro seguono percorsi divergenti, si riapre uno spazio per il cambiamento. In secondo luogo, è vivo il tema dell’origine del sovrappiú sociale. Il sovrappiú è ciò che rimane della produzione una volta dedotte le spese necessarie a sostenere il processo produttivo. Ma questa definizione non spiega come esso si forma. Perché, tra due società dotate delle stesse condizioni di produzione, una crea sovrappiú e l’altra no? Perché un “sovrappiú potenziale”, presente in quasi ogni consesso umano, si traduce in un sovrappiú economico effettivo, anche a parità di matrice tecnica? Non basta dire che il sovrappiú è un’eccedenza di beni generata da una tecnica “vitale”. Esso, rileva Marx, è un’eccedenza di merci generata da uno specifico assetto istituzionale. Se l’assetto istituzionale è il capitalismo, il sovrappiú va denominato “plusvalore”. Per dirla con Albert Hirschman, il sovrappiú dipende non tanto dal trovare le combinazioni produttive “vitali” dei fattori produttivi dati, quanto «nel suscitare e nell’apprestare per lo sviluppo risorse e capacità diversamente utilizzate». In terzo luogo, rimane viva la capacità di cogliere il “carattere essenziale” della nostra epoca. Per Marx l’istituzione cruciale del capitalismo è il contratto di lavoro. Stipulando un contratto di lavoro, si scambia una generica capacità-di-lavoro, non un preciso servizio o prodotto. Dopo lo scambio, quella capacità-di-lavoro appartiene all’acquirente, che ne ha pagato il costo di riproduzione. Se l’acquirente controlla il processo lavorativo, può usare la capacità-di-lavoro per ottenere un profitto: “spreme” piú lavoro vivo di quanto ne occorre per riprodurre il lavoratore. Nel contratto di lavoro, insomma, ciò che si scambia, come notano tra gli altri Ernesto Screpanti e Samuel Bowles, è l’impegno del lavoratore a obbedire al capitalista eseguendo le sue disposizioni ad assoggettarsi alla disciplina da lui stabilita. I risultati del lavoro sfuggono al controllo del lavoratore: sta in ciò lo sfruttamento. Infine, è vivo il problema di cogliere il “limite” della nostra epoca. Il modo di produzione capitalistico tende a imporre una mercificazione universale. Il suo motto è quello di molti economisti accademici coevi: «le relazioni sociali sono relazioni di mercato». Tuttavia questa tendenza soffoca aspetti talmente importanti della nostra soggettività, da costituire il “limite” dell’epoca in cui viviamo. Per dirla con Claudio Napoleoni, «si tratta di allargare nella massima misura possibile la differenza tra società e capitalismo», ossia la zona in cui non avviene la mercificazione.

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