1 Agosto 2006
pubblicato da Il Ponte

Marxismo oggi

Numero 8 agosto-settembre 2006 Prezzo € 15.00

MarxismoSiamo lieti di ospitare gli atti del convegno su Marx organizzato da Bruno Jossa e Giorgio Lunghini. Nella nostra riflessione – redattori e collaboratori tutti – Marx rimane un riferimento insostituibile. Una volta Joan Robinson ebbe a osservare: «Come riconosco i marxisti? Semplice, sono quelli che si ripromettono di risolvere il problema della trasformazione da qui a lunedí». Questa battuta coglie uno snodo importante. Lo studio era per Marx funzionale alla trasformazione della realtà sociale. Rendergli giustizia, come sottolineano i curatori nella loro «Presentazione», significa misurarsi con un sistema di pensiero partigiano, militante, schierato dalla parte di determinati valori e obiettivi, impegnato a comprendere i percorsi effettuali lungo cui essi potrebbero essere avvicinati. Fuori da ciò rimane soltanto il Marx “classico tra i classici”, del quale esibire ogni tanto una citazione erudita.

Prendendo sul serio la Robinson, ma senza la pretesa di illustrare tesi condivise dall’intera rivista, proviamo a movimentare la lettura dei saggi che seguono, enunciando, in poche battute provocatorie e apodittiche, ciò che è vivo e ciò che è morto in Marx. In primo luogo, sono vivissimi alcuni insegnamenti della concezione materialistica della storia. Essi non consistono nell’idea di una Sovrastruttura politico-ideologica plasmata da una Struttura economica, bensí nella proposizione che – per capire se una società può venire qui e adesso trasformata – occorre guardare al rapporto tra il Soldato e il Mercante. Quando Soldato e Mercante sono alleati, il Politico e l’Intellettuale possono poco. Solamente quando la Spada e il Denaro seguono percorsi divergenti, si riapre uno spazio per il cambiamento. In secondo luogo, è vivo il tema dell’origine del sovrappiú sociale. Il sovrappiú è ciò che rimane della produzione una volta dedotte le spese necessarie a sostenere il processo produttivo. Ma questa definizione non spiega come esso si forma. Perché, tra due società dotate delle stesse condizioni di produzione, una crea sovrappiú e l’altra no? Perché un “sovrappiú potenziale”, presente in quasi ogni consesso umano, si traduce in un sovrappiú economico effettivo, anche a parità di matrice tecnica? Non basta dire che il sovrappiú è un’eccedenza di beni generata da una tecnica “vitale”. Esso, rileva Marx, è un’eccedenza di merci generata da uno specifico assetto istituzionale. Se l’assetto istituzionale è il capitalismo, il sovrappiú va denominato “plusvalore”. Per dirla con Albert Hirschman, il sovrappiú dipende non tanto dal trovare le combinazioni produttive “vitali” dei fattori produttivi dati, quanto «nel suscitare e nell’apprestare per lo sviluppo risorse e capacità diversamente utilizzate». In terzo luogo, rimane viva la capacità di cogliere il “carattere essenziale” della nostra epoca. Per Marx l’istituzione cruciale del capitalismo è il contratto di lavoro. Stipulando un contratto di lavoro, si scambia una generica capacità-di-lavoro, non un preciso servizio o prodotto. Dopo lo scambio, quella capacità-di-lavoro appartiene all’acquirente, che ne ha pagato il costo di riproduzione. Se l’acquirente controlla il processo lavorativo, può usare la capacità-di-lavoro per ottenere un profitto: “spreme” piú lavoro vivo di quanto ne occorre per riprodurre il lavoratore. Nel contratto di lavoro, insomma, ciò che si scambia, come notano tra gli altri Ernesto Screpanti e Samuel Bowles, è l’impegno del lavoratore a obbedire al capitalista eseguendo le sue disposizioni ad assoggettarsi alla disciplina da lui stabilita. I risultati del lavoro sfuggono al controllo del lavoratore: sta in ciò lo sfruttamento. Infine, è vivo il problema di cogliere il “limite” della nostra epoca. Il modo di produzione capitalistico tende a imporre una mercificazione universale. Il suo motto è quello di molti economisti accademici coevi: «le relazioni sociali sono relazioni di mercato». Tuttavia questa tendenza soffoca aspetti talmente importanti della nostra soggettività, da costituire il “limite” dell’epoca in cui viviamo. Per dirla con Claudio Napoleoni, «si tratta di allargare nella massima misura possibile la differenza tra società e capitalismo», ossia la zona in cui non avviene la mercificazione.

Continua a leggere →

1 Marzo 2003
pubblicato da Il Ponte

Guerre à gogo

Numero 3 marzo 2003 Prezzo € 16.00

Guerre«In quanto modello, l’Unione Sovietica è inammissibile […]. Detto ciò, se l’Unione Sovietica non esistesse, gli americani sarebbero i padroni del mondo. È meglio che ci sia questa rivalità, piuttosto che una potenza regnante, perché nella rivalità c’è almeno una qualche apertura, mentre con un’unica potenza dominante, per fare qualcosa di nuovo occorre aspettare il suo declino, il suo deperimento». Chi parla è Henri Lefebvre che nel dicembre 1983 rilasciava un’intervista al «Ponte». Ho riportato in apertura questo pensiero lefebvriano perché questo nostro “speciale” gira fondamentalmente intorno all’idea che gli americani sono, o tentano di essere, i padroni del mondo. E questa non è una nostra impressione. Si legga il documento che espone la cosiddetta dottrina Bush (The National Security Strategy oh the Ynited States) e che è stato il punto di riferimento di Antonio Gambino per il suo libro Perché non possiamo non dirci antiamericani: ogni dubbio sarà fugato. Che l’operazione riesca loro è altro discorso, e gli anni a venire daranno le dovute risposte. Oggi dobbiamo prendere atto di questo stato di cose e su di esso fondare le nostre analisi del presente e del futuro.

In quest’ottica la guerra all’Iraq di Saddam Hussein non è un evento particolare che tende a ristabilire un ordine preesistente, è un quid novi che propone un nuovo ordine, la pax americana. A dimostrazione di questa tesi, in questo numero abbiamo voluto preporre alla trattazione della guerra e del dopoguerra una serie corposa di articoli sulle mire statunitensi riguardo al nuovo ordine mondiale e che mostrano come Saddam Hussein sia stato solo il pretesto per innescare la miccia delle operazioni. Un po’ come il lupo e l’agnello di esopiana memoria. Con questo non vogliamo dire, ovviamente, che Saddam sia stato l’agnello, ma che qualunque cosa avesse fatto, non sarebbe bastata a evitare l’invasione anglo-americana. Le fantomatiche armi batteriologiche, gli altrettanto fantomatici aiuti ai terroristi di al Qaeda, la dittatura con la conseguente oppressione e repressione del popolo curdo e sciita, erano solo il casus belli e poco importa se agli occhi della diplomazia internazionale sono sempre apparsi poco credibili o addirittura inconsistenti (vedi le recenti dichiarazioni di Blix): ciò che conta è far capire a tutti chi comanda nel mondo: o si è con gli americani o contro. Da qui il problema Onu, il problema Nato, il problema Francia-Germania-Belgio o, come dicono alla Casa Bianca, il problema “vecchia” Europa.

Continua a leggere →