Mai come oggi, dalla fine della Seconda guerra mondiale, sono stati così forti in Europa le rivalità tribali e i sentimenti nazionalisti e xenofobi. E questo va annoverato come uno dei successi dell’Unione europea. Non parliamo poi della risorta vocazione guerrafondaia che ha portato l’Ue ad alimentare i conflitti in Libia, in Siria e in Ucraina e prima ancora, quando l’Unione era in preparazione, a favorire l’esplosione di devastanti guerre civili nella ex Jugoslavia.
Un’altra serie di successi ha investito la sfera economico-sociale, con l’aumento della disoccupazione, della povertà, della disuguaglianza; il degrado delle condizioni di lavoro, la riduzione dei diritti dei lavoratori, l’aumento del precariato, la proletarizzazione dei ceti medi; il decadimento della sanità, della scuola, della previdenza; l’aumento dell’incertezza finanziaria con la messa a rischio dei risparmi delle famiglie per opera di un settore bancario sempre più vocato alla profittabilità predatoria.
La realtà della nazione riguarda una porzione di tempo alquanto ristretta. Se ci limitiamo al contesto europeo – quello che sostanzialmente è al centro di questo numero – lo si può misurare nel giro di due secoli. Si guardi l’atlante storico dell’Europa alle soglie del XIX secolo. Vi troveremo sette Stati-nazione (Francia, Portogallo, Spagna, Gran Bretagna, Paesi Bassi, Danimarca, Svezia). Di questi: il Portogallo era multietnico; Francia e Paesi Bassi avevano percentuali alquanto insignificanti di minoranze; i rimanenti erano Stati multietnici governati da un’unica nazione. Il resto della cartina d’Europa era occupato da tre imperi multietnici (ottomano, asburgico, russo). Un quarto impero (quello polacco-lituano) era da poco scomparso.
La situazione a oggi prevede una quantità di Stati in cui si intrecciano e coabitano sia Stati multietnici governati da un’unica nazione (Spagna, Gran Bretagna), sia Stati la cui legittimità in quanto luogo unificato è messa in discussione (Italia, Belgio, p. e.), sia, infine, realtà statali a forte identità etnica, risultato di disaggregazioni nazionali precedenti o di forti e profondi conflitti politici, e talora anche armati, comunque caratterizzati da un connotato di violenza e di reciproca intolleranza. È il caso della ex Jugoslavia, ma anche della Romania, dell’Ungheria e anche della Russia.
Come sostiene lo storico boemo Miroslav Hroch, il nazionalismo è un atteggiamento mentale che conferisce priorità assoluta agli interessi e ai valori della propria nazione rispetto a qualsiasi altro interesse e valore di altre nazioni. Laddove la nazione è stata prevalentemente definita su tre dati essenziali: la memoria di un passato percepito dal gruppo come un destino; il solido intreccio di legami linguistici e culturali che fonda una capacità di comunicazione sociale piú alta dentro il gruppo che al suo esterno; la concezione dell’eguaglianza di tutti i membri del gruppo organizzato in quanto società civile.
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