Incoronare il grullo?

Incoronare il grullo?di Rino Genovese

Lo psicodramma che si recita a soggetto nel Pd a proposito della legge elettorale – con l’ultima mossa di Renzi, che ha sostituito d’imperio dieci esponenti della minoranza in commissione affari costituzionali – assomiglia sempre di più alla storiella del masochista che dice al sadico “fammi male…”, e questi con coerenza gli risponde “no!”. Nessuno sa esattamente chi sia il sadico e chi il masochista, ma certo una perversione deve esserci nei rapporti tra il segretario-presidente del consiglio e quelli della minoranza del suo partito. Una delle due parti insiste a rimanere, alcuni dissidenti sono pronti a votare finanche la fiducia se la questione sarà posta in aula sulla legge elettorale, mentre l’altra parte insiste a spingerla fuori dal partito: “Andatevene”, è il messaggio neanche tanto subliminale, “date solo fastidio…”.

Il punto è che la minoranza Pd non ha veramente capito Renzi. Pensa che si tratti di un giovinotto un po’ arrogante, ubriacato dal potere che gli è stato consegnato in primis dai gravi errori della passata gestione bersaniana della ditta. Ma è una lettura troppo semplice. Renzi è, in Italia, quello che mutatis mutandis fu De Gaulle per la quinta repubblica francese. Il tipo, di per sé, sarebbe l’opposto dell’eroe: non ha pronunciato alcuno storico “no” ed è anche il contrario di una figura carismatica: semmai ha qualcosa di Chance il giardiniere. Ma 1) è di scuola democristiana e la politica la sa fare (quella democristiana, s’intende, che consiste nel crearsi una cerchia di “amici”); 2) è la prosecuzione del berlusconismo con altri mezzi. Per questo il progetto di distruzione della repubblica parlamentare, quella sancita dalla Costituzione, ha gambe più lunghe di quelle dello scout di Pontassieve. Risponde a una richiesta che un pezzo di società italiana sostiene da tempo: taluni la chiamano “democrazia decidente”, e consiste nel concentrare il potere nelle mani di uno solo (nel nostro caso in quelle del presidente del consiglio e segretario del Partito della Nazione), nella convinzione che così poi si possano fare quelle riforme o controriforme che siano (come il Jobs Act) capaci di ridare vigore all’azienda Italia.

In realtà il modello decisionista è in grave difficoltà dappertutto. In Francia molti osservatori si stanno accorgendo – specialmente dopo il totale fiasco di Hollande – che un ritorno alla repubblica parlamentare, con il suo noioso trantran, sarebbe meglio dell’ultimo Chance giardiniere messo alla testa della Nazione come una specie di re elettivo. La Germania, che ha un sistema partitico basato sul proporzionale con uno sbarramento al 5%, va a gonfie vele più di qualsiasi presidenzialismo, e ha perfino trovato, nella signora Merkel, il leader politico forte che non fa rimpiangere il generale De Gaulle. In Italia, invece, i poveri mentecatti di un partito in scissione virtuale si accingono a votare una riforma della legge elettorale, e successivamenente una riforma costituzionale del Senato, che consegnerà tutti i poteri a un grullo sostanzialmente senza contrappesi.

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